- In audizione in parlamento il capo del servizio consulenza fiscale spiega che per metà delle imprese dell’edilizia il superbonus è valso un terzo della produzione.
- Ma anche contando l’effetto su imposte e contributi il peso del superbonus resta ingente per le casse pubbliche.
- In generale le agevolazioni per la casa valgono 36 miliardi, tre volte quelle per l’impresa e quattro quelle per spese sociali e famiglia.
C’è una tabella allegata all’intervento in commissione Finanze del Senato di Giacomo Ricotti di Banca d’Italia, che dovrebbe essere studiata da tutti per capire l’illogicità della montagna di incentivi fiscali stratificati dalla nostra classe politica. Elenca le 19 maggiori spese fiscali che peseranno sul bilancio dello stato riducendone le entrate da qui al 2025 - 14 per la verità peseranno sull’Irpef, l’imposta sui redditi delle persone fisiche che dà il maggiore gettito e quindi quella che paga maggiormente i servizi pubblici. Al primo posto ci sono i bonus ristrutturazioni che pesano in media quasi 10 miliardi l’anno nel triennio e al terzo ci sono gli ecobonus che valgono 4,6 miliardi di euro l’anno: entrambi valgono più di tutta la spesa per le detrazioni sanitarie. Poi i bonus facciate, che pur con una detrazione ridotta al 60 per cento dal 2022, costeranno due miliardi di euro l’anno, così come l’ecobonus per i condomini. Ma i bonus edilizi sono solo il caso più clamoroso e macroscopico di un sistema di spese fiscali nate come temporanee e poi sempre prorogate, i cui costi sono lievitati dai 54 miliardi del 2016 agli 81 del 2022. Un meccanismo che, dice Banca d’Italia, «riduce a trasparenza e la comprensibilità del sistema nonché la credibilità delle pretese tributarie degli enti impositori», cioè dello stato. E in cui i regali per la proprietà immobiliare la fanno da padrone.
Le spese fiscali costano 81 miliardi l’anno
Delle 19 agevolazioni elencate elencate nella tabella nove sono detrazioni o imposte sostitutive dedicate alla casa. La deduzione per la rendita catastale della prima abitazione vale 3,4 miliardi di euro l’anno e la cedolare secca sugli affitti costa allo stato 2,7 miliardi di euro l’anno, lo stesso costo del nuovo regime forfettario per le partite Iva.
Guardando a tutte le spese fiscali, ce ne sono 55 per la casa per nu costo di 36 miliardi di euro. In confronto quelle per competitività e imprese pure essendo più del doppio in quantità (112), pesano un terzo per importo (12 miliardi tra incentivi per i nuovi macchinari e per investimenti in ricerca e sviluppo e rivalutazione di marchi e partecipazioni). Quelle per politiche sociali e famiglia addirittura meno di un quarto rispetto alla casa: 102 misure per un totale di otto miliardi.
Il capo del servizio assistenza e consulenza fiscale ha affrontato, ovviamente, anche la faccenda superbonus. Da una parte le indagini di Banca d’Italia hanno certificato quanto la misura abbia gonfiato l’attività edilizia: il 70 per cento delle imprese ha svolto interventi legati al superbonus e soprattutto «per quasi la metà delle aziende interessate l’incentivo ha riguardato almeno un terzo della produzione realizzata nell’edilizia privata». Metà di questi investimenti, poi, non si sarebbero verificati in assenza dell’incentivo. Tuttavia questo non cancella il fatto che la misura sia stata disegnata male dal punto di vista dell’efficientamento energetico - «se valutato sotto il profilo ambientale, lo strumento andrebbe valutato relativamente poco efficiente» - e soprattutto la sua onerosità per le casse dello stato che è ingente «anche tenendo conto delle imposte e dei contributi sociali versati a fronte dell’aumento dell’attività del settore». Insomma, non è vero che il bonus si è ripagato da solo come qualcuno sostiene, d’altra parte non è nemmeno vero che Banca d’Italia abbia dato ragione al governo, come hanno tempestivamente sostenuto dalle parti di Fratelli d’Italia. L’esecutivo, infatti, non ha cancellato la detrazione, di per sé iniqua e abnormemente costosa: ne ha semplicemente modificato la tipologia che finora era un credito di imposta perché non venga calcolato subito come debito sull’anno a venire e ne ha quindi aumentato l’iniquità.
Nella sua audizione Ricotti ha riconosciuto infatti che la forma del credito di imposta, ora stoppata, permette di correggere in parte la regressività degli incentivi fiscali, permettendo di usufruirne anche a chi non ha liquidità in partenza da spendere. Il problema del superbonus, su cui il governo non è affatto intervenuto, è un altro ed ha a che fare con la gestione scriteriata del sistema fiscale da parte della nostra classe dirigente. Gli incentivi sono per loro natura più semplici da fruire per i cittadini, ha ricordato ieri Banca d’Italia, ma anche per questo difficilmente controllabili dal punto di vista del bilancio pubblico. Siccome non esistono controlli a monte su tutte queste spese fiscali che vanno a erodere le risorse pubbliche, dovrebbero esserci paletti a valle, oltre che presidi per contenere le frodi. Detta con le parole di Banca d’Italia «occorre prestare specifica attenzione alla definizione dei requisiti di accesso idonei a identificare la platea dei beneficiari». Solo così efficienza e equità possono andare insieme. Anzi potrebbero, perché oggi non abbiamo né l’una né l’altra.
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