«Non possiamo accettare il piano presentato da Beko Europe. Faremo rispettare la golden power». Ma di quali poteri si parla non è affatto chiaro
L’annuncio del gruppo turco Beko, pronto a chiudere due stabilimenti a Siena e a Comunanza, nelle Marche, e a ridimensionarne un terzo in provincia di Varese, tagliando quasi duemila posti di lavoro, solleva una serie di interrogativi. Uno su tutti: il governo ha dichiarato di essere pronto a esercitare il golden power per tutelare l’occupazione nelle fabbriche che producono elettrodomestici, ma non è chiaro come intenda farlo.
La strada della nazionalizzazione non pare praticabile. E per imporre a Beko di vendere bisognerebbe trovare un compratore, che difficilmente si presenterà all’orizzonte. Al momento la confusione regna sovrana, e le rassicurazioni del ministro delle Imprese Adolfo Urso non tranquillizzano affatto i lavoratori. Il negoziato al ministero con i sindacati, dopo l’incontro di mercoledì scorso insieme ai vertici italiani dell’azienda, è stato riprogrammato per il 10 dicembre.
Piano «irricevibile»
«Non possiamo accettare il piano presentato da Beko Europe. Faremo rispettare la golden power, che per noi significa tutelare l’occupazione». Queste le parole pronunciate al termine dell’incontro del 20 novembre dalla sottosegretaria del ministero delle Imprese, Fausta Bergamotto.
«Eserciteremo ogni azione possibile affinché la proprietà cambi strategia e, se necessario, ricorreremo anche all’azionista di riferimento di Beko Europe per chiedere il rispetto degli interessi del nostro paese», ha aggiunto, riferendosi ai turchi di Arcelik, a cui fa capo Beko Europe, nata il 2 aprile quest’anno, dopo l’acquisto delle attività messe in vendita dagli americani di Whirlpool. Beko aveva perfezionato l’acquisizione degli stabilimenti nel 2023, e l’1 maggio dello stesso anno il governo Meloni ha emanato un dpcm, che permette di esercitare i poteri speciali del golden power.
Ma di quali poteri si parla? Le prescrizioni del decreto non sono state rese note. «Il governo deve esercitare subito quel Golden Power che non si comprende bene che funzione abbia in termini di deterrenza contro i licenziamenti», si legge nel comunicato congiunto di Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm e Uglm.
Impero globale
I dubbi aumentano se poi si riflette su quanto potere contrattuale abbia effettivamente Roma per fermare licenziamenti e delocalizzazioni. Beko, infatti, multinazionale leader nella produzione di elettrodomestici, con 30mila dipendenti nel mondo e 11 miliardi di euro di fatturato, fa parte di Arcelik, gruppo turco che comprende altri marchi di elettrodomestici come Grundig, Blomberg e Leisure.
Non è finita qui: Arcelik fa capo a Koç Holding, la più grande realtà economica della Turchia, cui contribuisce con circa un decimo del Pil del paese. Oltre ad Arcelik, la holding controlla anche Aygaz, leader nel settore energetico; Yapi Kredi Bankasi, una delle principali banche del paese; Otokar, specializzata nella produzione di veicoli commerciali e militari, Opet, che opera nella distribuzione di carburanti; e Koçtaş, catena di negozi specializzati in articoli per la casa e il fai-da-te. A queste si aggiungono una serie di joint venture per la vendita di auto in Turchia.
Un impero guidato dal 62enne Mehmet Ömer Koç, nipote di Vehbi Koç, che nel 1955 diede vita al gruppo. Il fratello maggiore di Mehmet, Mustafa Koç, è morto nel 2016, e poco dopo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ricevuto la famiglia al palazzo presidenziale, mettendo di fatto fine alle tensioni tra i Koç e il “sultano”, iniziate in occasione delle proteste di Gezi Park nel 2013, quando i manifestanti avevano trovato rifugio in un hotel di proprietà della famiglia. Con spalle così larghe, difficilmente Beko si farà imbrigliare dal governo italiano. Il fatto che l’ad di Beko Europe Recip Balcioglu non si sia neanche presentato all’incontro di mercoledì al ministero è piuttosto indicativo.
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