«Bisogna andare a prendere i soldi dove ci sono», ha ribadito ieri Maurizio Landini durante l’incontro a palazzo Chigi tra governo e sindacati. Difficile che le parole del leader della Cgil producano qualche effetto concreto su un governo che nella manovra per il 2025 ha circoscritto a un semplice prestito, e per le sole banche e assicurazioni, il contributo richiesto a chi «i profitti li ha fatti», per citare la recente improvvida uscita di Giancarlo Giorgetti.

Di fatto, nella legge di Bilancio di extraprofitti non si parla più. In compenso, le aziende farmaceutiche, finite nell’ipotetica lista nera delle società da sottoporre a prelievi straordinari, sono partite in questi giorni all’offensiva per ottenere provvedimenti che valgono cospicui ricavi supplementari per il settore.

La lobby del farmaco chiede che la spesa pubblica alla voce medicinali venga aumentata dello 0,55 per cento per raggiungere la soglia del 15,8 per cento del Fondo sanitario nazionale. Visto che quest’ultimo, secondo quanto scritto nella bozza di manovra ora all’esame del parlamento, nel 2025 raggiungerà i 136,5 miliardi, i nuovi fondi chiesti al governo si aggirano intorno ai 750 milioni.

Contro i grossisti

Farmindustria, l’associazione di categoria guidata da Marcello Cattani, protesta anche per un’altra norma inserita in manovra, quella che porta dal 3 al 3,65 per cento la quota del prezzo delle medicine che va ai grossisti. Lo 0,65 per cento viene tolto ai produttori, a cui resta una quota del 66 per cento. «Una misura assurda», è andato all’attacco Cattani dalle colonne del Sole 24 Ore, chiedendo «l’immediata cancellazione» di questo «regalo» con cui viene trasferito l’1 per cento dei margini. A beneficiare del provvedimento saranno in primo luogo le grandi cooperative di farmacie a cui fa capo buona parte della distribuzione.

Lobby contro lobby, quindi. Produttori contro commercianti, con l’aggiunta del sospetto del conflitto d’interessi, visto che il provvedimento è stato partorito da un governo in cui siede, come sottosegretario alla Salute, il farmacista pugliese Marcello Gemmato, fedelissimo della premier Giorgia Meloni e nei giorni scorsi finito al centro degli attacchi dell’opposizione perché proprietario del 10 per cento di una clinica di Bari. Tanto che in sua difesa è dovuto intervenire in parlamento il ministro Orazio Schillaci, che ha citato il verdetto dell’Anac, l’Authority anticorruzione, che l’anno scorso ha escluso l’esistenza di “cause di incompatibilità” per il sottosegretario.

Adesso però finisce sotto i riflettori il “regalo” alle cooperative di farmacie, che ha scatenato le proteste di Farmindustria. Le aziende sostengono che i fondi garantiti dallo Stato crescono molto meno della domanda di farmaci da parte degli italiani. In altre parole, la coperta pubblica è sempre più corta e di conseguenza nei prossimi anni è destinato ad aumentare l’esborso delle imprese per far fronte al cosiddetto payback. Quest’ultimo è il contributo a carico delle imprese farmaceutiche, che per legge sono chiamate a coprire, regione per regione, parte dell’importo eccedente il tetto della spesa sanitaria per i medicinali. Nel 2023 il payback è costato circa 1,8 miliardi, ma secondo Farmindustria potrebbe arrivare a 2 miliardi quest’anno e a 2,4 miliardi il prossimo.

«Un salasso», sostengono gli industriali, che da tempo chiedono di cambiare le regole del gioco e se la prendono con il governo che secondo loro penalizza un settore strategico per il paese.

Più spesa pubblica

Difficile negare che l’acquisto di farmaci in Italia sia in aumento, così come gli oneri per la finanza pubblica. Nel 2023 la spesa farmaceutica a carico dello Stato ha superato i 22 miliardi, circa 1,5 miliardi in più rispetto al 2022. Gran parte di questo incremento, cioè 1,2 miliardi, riguarda i medicinali destinati agli ospedali, con un costo complessivo di 13,7 miliardi. Il trend di crescita prosegue anche quest’anno, come segnala l’Agenzia pubblica Aifa. Ecco perché ora le aziende farmaceutiche temono che, senza un ritocco al rialzo della spesa farmaceutica a carico dello Stato, saranno costrette a far fronte a nuovi oneri che andranno a scaricarsi sui loro bilanci. «Il ripiano (della spesa non coperta dai fondi pubblici, ndr) incide per oltre il 18 per cento del fatturato che lo sostiene nel 2025», ha protestato con il Sole 24 Ore il leader di Farmindustria.

L’offensiva lobbistica proseguirà anche nelle prossime settimane, con l’obiettivo di ottenere una correzione in corsa dei provvedimenti previsti in manovra. Vedremo se il governo riuscirà a dirottare nuovi fondi verso un’industria che comunque, bilanci alla mano, non sembra in difficoltà. Nel 2023 le aziende farmaceutiche italiane hanno toccato i 52 miliardi di ricavi, contro i 49 miliardi dell’anno precedente. Oltre il 90 per cento della produzione viene venduto all’estero, una quota in continua crescita tanto che l’Italia può vantare il tasso di crescita dell’export farmaceutico più elevato del mondo.

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