Mentre Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti litigano sul decreto Bollette, i consumatori e le imprese italiane, conferma il presidente di Arera Stefano Besseghini, continuano a pagare un costo dell’energia fra i più salati al mondo. Arrivando a definire, sempre Besseghini, la questione energetica un’emergenza strutturale.

Decreto bocciato

Forse è per questo che la premier ha valutato «non soddisfacente» la bozza di decreto predisposta dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti, il quale – raschiando il barile – era però riuscito a trovare 3 miliardi di coperture (anche se di certo ci sono solo i 600 milioni dalle aste Ets). Effettivamente un pannicello caldo rispetto al dramma vissuto da aziende e famiglie.

La verità è che gli italiani non hanno bisogno della carità dei bonus, bensì di una riforma strutturale del sistema energetico. E non hanno neppure bisogno di sentirsi dire dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, titolare del dicastero per l’Ambiente e lo Sviluppo Energetico, che «fatta la pace, si potrà tornare a comprare il gas russo», così ha detto a La Stampa nei giorni scorsi.

Primo, perché l’Italia non ha mai smesso di comprare il gas da Mosca perché, a differenza del petrolio, il metano non è mai stato soggetto a sanzioni. Secondo, perché una simile affermazione significa dire a un intero paese che, anche se Putin è un invasore e un dittatore (e resta tale, nonostante il revisionismo in corso), continueremo a legarci a lui mani e piedi, mettendo il paese in una situazione di grave insicurezza nazionale.

A tal proposito, esattamente tre anni fa, tutta l’industria elettrica italiana aveva proposto un piano emergenziale per ridurre drasticamente la dipendenza italiana dalle importazioni di fonti energetiche (soprattutto di gas): l’obiettivo era dare vita a un piano straordinario di sviluppo delle rinnovabili al ritmo di 20 gigawatt l’anno per tre anni. Mentre la Germania ha rispettato un cronoprogramma analogo (nel solo 2024, ad esempio, ha aggiunto 20 gigawatt portando la potenza installata da rinnovabili a 190 gigawatt), l’Italia quel piano l’ha lasciato naufragare.

Da un lato la premier ha fatto il giro del mondo per stringere accordi sull’importazione di gas da altri paesi, senza tuttavia ottenere granché, viste le criticità attuali. Dall’altro, il governo non ha fatto la sua parte per favorire gli investimenti, poiché in tre anni sono stati installati solo 16 nuovi gigawatt di energia rinnovabili.

I decreti inattuati

Se di tale mancanza c’è da incolpare qualcosa o qualcuno, ora che il prezzo della bolletta è tornato sulle montagne russe e il momento non è più propizio per fare sconti in bolletta, allora il responsabile va ricercato nelle nuove restrizioni normative introdotte: a partire dallo stop al fotovoltaico a terra del decreto legge Agricoltura, perché la riduzione dei terreni disponibili per gli impianti significa un aumento esponenziale del costo dei campi disponibili e, di conseguenza un incremento dei costi, dato che il via libera è stato dato solo all’agrivoltaico che pesa fino al 50 per cento in più del fotovoltaico a terra.

Un’altra battuta d’arresto deriva dal decreto Aree idonee, che potrebbe rendere non idoneo il 99 per cento dell’Italia alle rinnovabili, oltre a rischiare di stoppare i progetti già in corso di autorizzazione e realizzazione. In sostanza: rendere più difficile la realizzazione di parchi eolici e fotovoltaici significa non solo rallentare la possibilità di rendere l’Italia indipendente da fonti energetiche estere, ma rischia di far lievitare i costi di sviluppo degli impianti, che a cascata impattano sul costo dell’elettricità prodotta.

Chissà se venerdì, nel tanto atteso consiglio dei Ministri, Meloni parlerà anche di questo. E chissà se qualcuno avrà il cuore di far notare che, al di là degli sgravi e delle mance di Stato in bolletta, sganciare il prezzo della bolletta da quello del gas naturale è già possibile. La premessa è che il costo dell’elettricità è così alto perché è per lo più vincolato a quello del prezzo del gas, calcolato all’ingrosso a livello europeo. E secondo il governo non è possibile farci nulla.

Ma le aste competitive permettono già di disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica rinnovabile da quella del gas. Per abbassare il prezzo dell’energia elettrica bisognerebbe fare nuovi impianti e nuove aste competitive, così i prezzi dell’energia elettrica rinnovabile sarebbero sganciati da quelli del gas, e sarebbero ben al di sotto dei 100 euro rispetto agli attuali 140 euro per MWh. Peccato che negli ultimi 3 anni, di aste competitive se ne sono viste pochissime, e anche di impianti rinnovabili avremmo potuto farne molti di più.

Il prezzo dell’energia elettrica potrebbe diminuire se si permettesse di realizzare gli impianti rinnovabili che sono stati di fatto bloccati dal decreto Agricoltura e Aree Idonee, e i pochi che si sono costruiti hanno visto aumentare (anche del 50%) i costi di realizzazione a causa della burocrazia e non hanno trovato la possibilità di fare le aste con il Fer X.

Perché il Decreto Fer X è in ritardo, da quasi tre anni. Solo di recente è stata firmata una versione transitoria di quest’ultimo che, invece di pianificare le aste fino al 2028, le prevede solo fino a fine 2025. Siamo a marzo, e il Fer X Transitorio non è ancora nemmeno pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

I ritardi non sono una novità in fatto di decreti per lo sviluppo delle rinnovabili, i decreti Fer 2, Cer, Agrivoltaico, Aree Idonee, Testo Unico, sono tutti stati pubblicati con circa due anni di ritardo, e il record spetta al Fer 2 con 1.830 giorni di ritardo.

Il ruolo di Confindustria

Esiste poi un’ulteriore difficoltà, che stavolta non interessa il governo, bensì Confindustria, nel definire esattamente le proprie richieste prioritarie ai ministeri competenti.

Emanuele Orsini, il presidente dell’associazione di Viale dell’Astronomia, infatti, da un lato picchia i pugni sul tavolo per difendere gli interessi della manifattura e delle piccole e medie imprese e chiede misure urgenti per ridurre i costi in bolletta.

Lui, infatti, sente la pressione degli imprenditori che minacciano di chiudere la produzione e desertificare i territori, se non ci sarà una svolta significativa sul fronte energetico; dall’altro lato, però, Orsini deve parteggiare per quelle partecipate pubbliche, tipo Enel ed Eni, che da alcune scelte politiche in materia energetica hanno finora tratto vantaggio.

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