- Il governo ha un margine di manovra maggiore di quello previsto per la legge di bilancio: la previsione di crescita per quest’anno è stata alzata al 3,7 per cento e il deficit per il 2023 è fissato al 4,5 per cento.
- Nove miliardi e mezzo saranno subito impiegati per prorogare a dicembre le misure contro i rincari, e tutto il nuovo deficit del prossimo anno saranno per misure di contrasto all’aumento dei prezzi energetici.
- Ma l’esecutivo non rinuncia a varare misure bandiera. A farne le spese saranno i percettori del reddito di cittadinanza. Anche solo per la quota 41 con il limite di 61 anni di età servono 1,4 miliardi di euro l’anno e sarebbero impiegati a favore di appena 90mila lavoratori, contro 660 mila percettori di reddito.
I margini sono stretti per la prima legge di bilancio del governo Meloni e tutti i segnali che arrivano disegnano un contesto economico generale in chiaro peggioramento. Ma sono margini meno stretti di quanto preventivato finora. Il governo Draghi ha lasciato più fondi e il Pil è cresciuto di più del previsto. Solo per prorogare le misure del vecchio esecutivo per contrastare il caro energia, al momento in vigore fino alla fine di novembre, dovrebbero essere impegnati con un decreto da 9,5 miliardi da varare già la prossima settimana in Consiglio dei ministri.
Crescita al 3,7 nel 2022, deficit al 4,5 nel 2023
A questo Meloni aggiunge una previsione di crescita al 3,7 per cento nel 2022 e l’aumento del deficit programmato nel 2023 che il governo precedente aveva fissato al 3,4 per cento e che il nuovo esecutivo innalzerà al 4,5 per cento per ricavare ventuno miliardi di euro per la prossima legge di bilancio da dedicare al contrasto dei rincari. Il deficit sarà al 3,7 per cento nel 2024 e al 3 per cento nel 2025.
Saranno ovviamente finanziate anche le più leggere delle promesse elettorali della coalizione di governo, a scapito soprattutto di una platea di 660mila persone di percettori di reddito di cittadinanza che sulla carta possono lavorare ma che sono difficilmente collocabili sul mercato. Si tratta della scelta più chiara fin qui fatta dal governo, che ieri è stata sostenuta anche dal sindacato più vicino alla linea del governo, cioè l’Ugl di Paolo Capone, che negli anni ha trovato una corrispondenza politica con la Lega e con i suoi alleati sovranisti, ospitando Marine Le Pen, e ieri ha subito dichiarato che bisogna passare da un reddito di cittadinanza a un «reddito di responsabilità».
In ogni caso l’idea del governo è quello di affidare la gestione dell’assegno di coloro che non sono indirizzabili al lavoro ai comuni in modo da renderne coerente la gestione con le politiche di contrasto alla povertà di cui si occupano gli enti locali. Per coloro che invece sono sulla carta formalmente occupabili, secondo i dati Anpal di giugno una platea di 660 mila persone, l’assegno salterà, recuperando fino a 4,5 miliardi di euro e gli ex percettori saranno coinvolti nel programma dei centri per l’impiego per le persone a bassa occupabilità. Nell’immediato questo significa togliere loro un sostentamento che serve a raggiungere un livello minimo di consumi.
Pensione anticipata per pochi
Sulle pensioni, invece, la linea è proseguire come già fatto dal governo Draghi nella proroga dell’Ape sociale per i lavori usuranti e di opzione Donna. Ieri la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone, che ha incontrato per la prima volta le parti sociali – 26 sigle tra organizzazioni sindacali e datoriali - si è limitata a dichiarare che «con il presidente Meloni si lavora per riconfermare alcuni interventi e valutare di introdurre altre forme di flessibilità in uscita, forme sostenibili per poi intervenire con una riforma di sistema che possa mettere ordine».
La maggioranza vuole certamente rivendicare di aver stoppato la Fornero che altrimenti tornerebbe pienamente in vigore da gennaio. Ma le proposte avanzate dal leader della Lega Matteo Salvini, che pure sembrano il punto di partenza, finora spendono molto e a favore di molto pochi: una quota “41” anche fissando un limite di età minimo a 61 anni, significherebbe spendere 1,4 miliardi di euro per appena 90 mila persone, più risorse di quanto si spende procapite per il reddito di cittadinanza.
Le tre principali organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto ieri al governo quello che già avevano chiesto a Draghi: confrontarsi con il presidente del consiglio, cioè Meloni, prima di prendere le decisioni. E hanno elencato come prima priorità scongiurare lo scalone pensionistico, ma anche proteggere i salari, con il leader della Cgil Maurzio Landini che ha chiesto l’introduzione del salario minimo – e un maggiore impegno sulla sicurezza del lavoro.
L’esecutivo non è però disposto a rinunciare alle misure di bandiera e nemmeno al fiume di denaro riversato con il Superbonus al 110 per cento, che vedrebbe prorogato il credito anche nel 2023 per le abitazioni unifamiliari che fino a questa estate hanno usufruito del 75 per cento dei fondi erogati e con una aliquota del credito di imposta ridotta, e allo stesso tempo in una riduzione dell’aliquota per le ristrutturazioni condominiali comunque generosa.
Punto fermo anche la rottamazione delle cartelle e la cosiddetta flat tax. La relazione sull’evasione fiscale consegnata al governo spiegava che la soglia a 65mila euro in vigore dal 2019 ha incentivato una concentrazione dei contribuenti al di sotto la soglia. In altre parole, ha incentivato a fatturare meno. Unica certezza è che la macchina dello stato dovrà risparmiare nel 2023 800 milioni di euro. Ieri il consiglio ha approvato il decreto che fissa il quadro della spending review per i ministeri, così come previsto anche dal piano nazionale di ripresa e resilienza: i risparmi devono arrivare a 1, 2 miliardi nel 2024 e 1,5 miliardi nel 2025.
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