- Dal generico «più treni contro la crisi energetica» bisogna passare a un razionale «treni più puntuali» con una gestione efficiente della rete ferroviaria. Da quando è aumentata la sensibilità ambientale e con essa la necessità di ridurre lo squilibrio del trasporto merci, nettamente sbilanciato a favore di quello su gomma che copre una percentuale dell’88 per cento, il trasferimento alla modalità ferroviaria non c’è stato.
- Gli investimenti per il potenziamento della rete di questi anni, privi di una strategia, sono stati consistenti ma si sono dispersi in mille rivoli, con l’unico risultato di far crescere soltanto l’alta velocità.
- Sulle lunghe distanze la modalità ferroviaria è competitiva, ma per essere più performante la rete deve essere più efficiente.
Dal generico «più treni contro la crisi energetica» a un razionale «treni più puntuali» con una gestione efficiente della rete ferroviaria. Il trasporto ferroviario merci in Italia è passato dai 70,7 milioni di treni/km del 2008 ai soli 53,8 milioni del 2021, con una diminuzione di circa il 24 per cento.
Da quando è aumentata la sensibilità ambientale e con essa la necessità di ridurre lo squilibrio del trasporto merci, nettamente sbilanciato a favore di quello su gomma che copre una percentuale dell’88 per cento, il trasferimento alla modalità ferroviaria non c’è stato. Anzi.
Questo calo è dovuto al crollo della quota di trasporto di Ferrovie dello stato (Fs) che per fortuna è stata compensata dall’apertura del mercato alle compagnie private avvenuto nel 2008. Oggi, una quindicina di compagnie ferroviarie producono 29 milioni di km/treno anno, intercettando la quota di mercato persa da Fs con un piccolo incremento. Contrariamente a quel che si pensa, il crollo non è dovuto alla carenza di sussidi pubblici a Fs, anzi, il ramo merci (Cargo FS) è stato protagonista alte spese correnti e di bilanci fallimentari bisognosi di essere ripianati con risorse pubbliche.
Fondi dispersi
Le continue riorganizzazioni e i conflitti interni hanno complicato ed allungato la catena decisionale fino al punto di generare una vera e propria débacle. Gli investimenti per il potenziamento della rete di questi anni, privi di una strategia, sono stati consistenti ma si sono dispersi in mille rivoli, con l’unico risultato di far crescere soltanto l’alta velocità, a discapito del trasporto merci e dei treni pendolari.
La qualità e i tempi di resa del vettore ferroviario pubblico solo rare volte si sono rivelati competitivi, e questo spinge, inevitabilmente, le imprese ad utilizzare i camion. Inoltre, l’ex monopolista ha ostacolato e rallentato l’ingresso delle nuove compagnie private.In questa fase di crisi energetica e di aumento dei prezzi del gasolio il trasporto merci ferroviario ha l’occasione d’oro per riprendersi la sua fetta di mercato e per ampliarla.
Le capacità ferroviarie (reti e servizi) del 2008 si possono recuperare. Il ministro della Mobilità sostenibile, per giustificare gli oltre 50 miliardi di euro in investimenti ferroviari provenienti dal Pnrr, ha fatto annunci improbabili, come quello di passare nel 2030 dall’attuale quota di merci trasportate su ferro del 12 per cento (la più bassa d’Europa) al 26 per cento.
Almeno la metà degli investimenti previsti dal Pnrr, tuttavia, non hanno passato nessuna analisi costi benefici (eseguita con criteri credibili) che li giustifichi. Su questo fronte, sarebbe urgente il raddoppio della tratta Termoli-Lesina (33 km) che consentirebbe di aumentare il numero dei treni, e di velocizzare e regolarizzare il traffico sulla linea Lecce-Bologna.
Ci vorrebbero poi altri interventi mirati per eliminare i colli di bottiglia nei maggiori nodi e aumentare le capacità dei terminali intermodali. Proprio il trasporto intermodale e combinato di semirimorchi e casse mobili avrebbe una immediata occasione di sviluppo, vista la crescita di questo segmento di traffico.
Serve efficienza
Sulle lunghe distanze la modalità ferroviaria è competitiva, ma per essere più performante la rete deve essere più efficiente, trattando con pari priorità i treni merci e quelli passeggeri, riducendo i guasti con più manutenzione e sistemi innovativi di gestione della circolazione con minore distanziamento tra un treno e l’altro per ridurre i ritardi cronici.
La prenotazione delle tracce orarie (gli slot ferroviari) deve essere più rapida e flessibile. Occorre poi un adeguamento generalizzato a modulo secondo lo standard europeo (treni merci lunghi fino a 750 metri con 4 metri di sagoma ed un peso di 2 mila tonnellate), visto che solo il 30 per cento della rete è oggi abilitata a questo standard.
Lo strabismo del governo ha pensato solo a misure tampone contro il caro gasolio a favore dei Tir, come il taglio delle accise e gli sconti sui pedaggi autostradali per gli autotrasportatori, mentre i pedaggi della rete ferroviaria sono rimasti inalterati.
Nel decreto legge mille proroghe l’esecutivo ha inserito poi anche il bonus patente, per ridurre i costi di gestione delle imprese e favorire l’accesso alla professione di autotrasportatore. Nello stesso decreto, però, di una simile iniziativa per coprire in parte i costi della patente (molto più costosa) dei macchinisti non c’è traccia.
Lo stesso Dl ha cancellato la riduzione dei sussidi (ambientalmente dannosi) che era per i treni a gasolio di 0,4 centesimi di euro al litro mentre ha lasciato quelli dell’autotrasporto. In base a queste scelte, è difficile pensare che la tanto pomposa e tanto annunciata “cura del ferro” possa considerarsi un obiettivo del governo e dei ministri Giovannini e Cingolani.
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