- Nel suo libro Io sono Giorgia, la premier italiana on. Meloni scrive: «Se c’è una cosa che so, è che la ricchezza non la crea lo Stato. La creano le imprese e i lavoratori».
- Certo è una tesi semplice e chiara: i ruoli e i compiti delle imprese e dei lavoratori da un lato e quelli dello Stato dall’altro sono nettamente distinti. Ma è fondata?
- Il testo di Andrea Boitani condensa il suo intervento che aprirà l’incontro – su inviti – che si terrà lunedì 23 alle 17.30 presso la editrice Laterza, dal titolo Stato e mercato. Chi crea la ricchezza? E chi la distribuisce meglio?. Insieme a Boitani introdurranno l’incontro Sabino Cassese, Elena Granaglia, Vincenzo Visco.
Nel suo libro Io sono Giorgia, la premier italiana on. Meloni scrive (a p. 131): «Se c’è una cosa che so, è che la ricchezza non la crea lo Stato. La creano le imprese e i lavoratori». L’affermazione è stata ripetuta quasi alla lettera nell’intervista concessa al direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana (29 novembre 2022). Deve evidentemente esprimere una convinzione radicata.
Certo è una tesi semplice e chiara: i ruoli e i compiti delle imprese e dei lavoratori da un lato e quelli dello Stato dall’altro sono nettamente distinti. «Lo Stato – aggiunge la presidente Meloni - può al massimo redistribuire una parte di quella ricchezza, ma deve mettere chi può crearla in condizione di farlo nel modo migliore».
A cosa serve lo Stato
Per quanto accattivante e, forse, ritenuta perfino ovvia da una parte dell’opinione pubblica, che lo Stato non crea la ricchezza è un’affermazione problematica. Dalla contabilità nazionale sappiamo che lo Stato, anzi la pubblica amministrazione in senso ampio (PA), contribuisce direttamente alla produzione annuale di Pil, ovvero di reddito, che nel linguaggio comune è spesso identificato con la «ricchezza» di un paese.
In Italia, tale contributo si aggira da anni intorno al 20 per cento del Pil. Esso comprende gli acquisti di beni e servizi finali da parte della PA e gli stipendi dei dipendenti pubblici che producono servizi come la giustizia, l’istruzione e la ricerca, la sicurezza, la sanità, la difesa, ecc.
Naturalmente, la PA eroga anche trasferimenti ai cittadini e alle imprese (sussidi, incentivi, indennità, pensioni, interessi sui titoli del debito pubblico…).
Queste erogazioni erano pari al 35,6 per cento del Pil nel 2021. Secondo le regole (internazionalmente accettate) della contabilità nazionale, non costituiscono direttamente Pil ma vi contribuiscono indirettamente, alimentando i redditi e quindi la spesa privata per consumi e investimenti, che costituisce la maggior parte del Pil.
Nei trasferimenti la redistribuzione ha certamente una parte importante, come ovviamente ce l’ha (o ce la dovrebbe avere) un sistema tributario ricostruito su basi unitarie e depurato dall’endemica evasione fiscale.
La spesa sociale
Stabilito che i principi e i numeri della contabilità nazionale non sorreggono la tesi di Meloni, si può anche andare oltre.
Gli economisti sono pressoché unanimi nel riconoscere che la difesa, la crescita di infrastrutture, l’istruzione e la ricerca pubblica, le assicurazioni sociali, la tutela della salute hanno fornito e tuttora forniscono contributi essenziali alla produzione di ricchezza da parte di imprese e lavoratori e, quindi, alla crescita economica.
Mentre per la difesa e le infrastrutture (che fruttano vantaggiose commesse alle imprese) il mondo degli affari è ben disposto a riconoscere che esse producono ricchezza, spesso le spese di natura più marcatamente sociale vengono additate come un peso, un costo per la collettività.
La dottrina per cui ogni miliardo in più di spesa sociale è un peso sugli operatori di mercato era stata additata come “la fallacia degli uomini d’affari” già nel 1931 dallo storico e statistico inglese Richard H. Tawney. La spesa sociale ha certamente un peso significativo nel definire condizioni di pari opportunità effettive, per le quali non basta la redistribuzione effettuata tramite i trasferimenti monetari.
È perciò un pilastro della giustizia sociale. Ma non si possono trascurare i contributi che tale spesa può dare alla crescita e alla resilienza delle nostre economie.
Persone più sane, più istruite e più protette «dai venti del caso e dagli uragani del disastro» (per usare l’espressione del presidente americano F.D. Roosevelt), producono maggiore e migliore ricchezza, tanto nella sfera privata quanto in quella pubblica.
«La creazione di valore è un processo collettivo - sintetizzano Michael Jacobs e Mariana Mazzucato nell’introduzione al loro Ripensare il capitalismo - nessuna azienda può oggi operare senza i servizi fondamentali forniti dallo Stato… che non si limita a ‘regolare’ l’attività economica privata: il Pil è coprodotto dall’interazione di operatori pubblici e privati».
Non c’è buon funzionamento dell’economia senza buona produzione e spesa da parte dello Stato.
Certamente, l’efficacia e l’efficienza dei servizi resi dallo Stato possono variare molto da paese a paese e, in Italia, variano molto anche da regione a regione, per non dire del problema della corruzione.
È compito dei governi individuare i difetti della spesa sociale e correggerli, senza cedere alla vulgata che quei difetti siano connaturati all’origine pubblica di quella spesa.
Le differenze tra imprese
Anche la produttività delle imprese private è molto differenziata: lo sanno tutti. Inoltre, in molti paesi, lo Stato ha rappresentato il motore dell’innovazione, come riconosce Bill Gates, secondo cui è grazie all’investimento del governo (americano) in ricerca e sviluppo che sono stati creati poi dalle imprese private “i prodotti che probabilmente usate ogni giorno, compresi internet, farmaci salvavita e il GPS utilizzato dal vostro cellulare”.
Dovremmo negare che quelle innovazioni siano stati iniettori di crescita della ricchezza e di trasformazione dei modelli di consumo?
Oggi c’è anche di più. Le imprese (private o pubbliche che siano) e i consumatori, oltre a creare ricchezza materiale, contribuiscono a distruggere il capitale naturale di cui siamo dotati.
E lo fanno attraverso le emissioni inquinanti che determinano i cambiamenti climatici e, con essi, lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, la desertificazione di enormi territori, l’acidificazione degli oceani
. Chi, se non gli stati del mondo in uno sforzo comune, deve individuare le modalità per arrestare il degrado e avviare la ricostruzione del «capitale naturale» che abbiamo già scialacquato? Non che l’industria e la finanza privata non possano/debbano dare il loro contributo o che non possano/debbano darlo i consumatori con i loro comportamenti.
Ma sono gli stati a dover tracciare la strada, a definire le tappe, a mettere a punto gli strumenti (incentivi, regole e standard) e a effettuare gli investimenti pubblici che servano a suscitare e accompagnare quelli privati. Sembra difficile dire che le azioni degli stati per garantire un futuro all’umanità non creino ricchezza.
L’incontro Stato e mercato Chi crea la ricchezza? E chi la distribuisce meglio? si terrà lunedì 23 gennaio presso la casa editrice Laterza
Aprono l’incontro Andrea Boitani, Sabino Cassese, Elena Granaglia, Vincenzo Visco
Hanno confermato la loro partecipazione – tra gli altri – Sandro Aronica, Roberto Ascoli, Gaetano Azzariti, Michele Bagella, Franco Bassanini, Brando Benifei, Sara Bentivegna, Franco Bernabè, Emanuele Bevilacqua, Giacomo Bottos, Michael Braun, Mauro Calise, Vincenzo Camporini, Rocco Cangelosi, Elena Capparelli, Gianrico Carofiglio, Giovanna Casadio, Marco Cecchini, Stefano Cingolani, Simona Colarizi, Carlo Cottarelli, Marta Dassù, Riccardo De Bonis, Veronica De Romanis, Guido Fabiani, Luigi Ferrajoli, Simonetta Fiori, Giulio Gambino, Michele Gambino, Emanuele Genovese, Filippo Giannuzzi, Paolo Guerrieri, Eric Jozsef, Linda Lanzillotta, Franco La Torre, Stefano Lepri, Alfredo Macchiati, Bruno Manfellotto, Mauro Marè, Francesca Mariotti, Simone Martuscelli, Paolo Mazzanti, Giovanna Melandri, Maurizio Melani, Stefano Micossi, Laura Mirakian, Antonio Misiani, Ferdinando Nelli Feroci, Eugenio Occorsio, Daniele Pace, Luigi Paganetto, Lina Palmerini, Marco Panara, Roberto Pasca di Magliano, Andrea Pecchio, Alberto Pera, Costanza Pera, Giuseppe Provenzano, Michele Renzulli, Walter Ricciardi, Virginia Ripa di Meana, Alessandro Roncaglia, Mariolina Sattanino, Sandro Sattanino, Serena Sileoni, Maurizio Stirpe, Lorenzo Tagliavanti, Salvatore Toriello, Gianluigi Tosato
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