- La Commissione giustizia della Camera degli Stati Uniti ha presentato un rapporto di 450 pagine basato sullo studio di 1,3 milioni di documenti che mette sotto accusa Amazon, Google, Facebook e Apple.
- L’inchiesta accusa le 4 big four di esercitare e abusare del loro «potere di monopolio», imponendo a clienti e fornitori «tariffe eccessive, termini contrattuali oppressivi», raccogliendo i dati di chi si affida a loro.
- Gli effetti economici e politici sono «meno innovazione, meno scelte per i consumatori e una democrazia indebolita». Per questo la commissione propone di bloccare le fusioni e di realizzare separazioni strutturali dei quattro giganti.
«Dobbiamo fare la nostra scelta. Possiamo avere la democrazia, o possiamo avere la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non possiamo averle entrambe». Citando le parole pronunciate quasi un secolo fa dal giudice della Corte suprema americana, Louis Brandeis, la commissione giustizia della Camera americana ha messo sotto accusa i quattro colossi globali della tecnologia, Google, Apple, Facebook e Amazon, riportando il tema della concorrenza al centro del dibattito dopo oltre cento anni dalla prima legislazione Antitrust. Il 6 ottobre la commissione ha, infatti, presentato un rapporto di 450 pagine frutto di un’indagine di sedici mesi e fondato su decine di interviste con esperti e testimoni, centinaia di incontri con imprenditori e aziende e soprattutto sullo studio di 1,3 milioni di documenti, compresi i documenti interni delle quattro società.
Il risultato è una analisi impietosa del loro «potere di monopolio», dei loro abusi e soprattutto delle conseguenze economiche e politiche di questo potere che si riassumono nella formula «meno innovazione, meno scelte per i consumatori e una democrazia indebolita».
L’indagine spiega come le quattro aziende controllano canali di distribuzione chiave dell’economia digitale: per Facebook i social network, per Google la ricerca, per Apple AppStore e il mercato delle app, per Amazon l’ecommerce e il cloud. Grazie al monopolio le quattro aziende «possono scegliere vincitori e vinti in tutta la nostra economia», perché impongono a clienti e fornitori «tariffe eccessive, termini contrattuali oppressivi, raccogliendo i dati di aziende e cittadini che si affidano a loro».
Inoltre usano la loro posizione dominante per rafforzare, e non è un gioco di parole, la loro posizione dominante. Da una parte escludono la concorrenza, dall'altra rendono molto “costoso” per gli utenti uscire dal loro ecosistema. Una spirale che si autoalimenta.
Uccidere la concorrenza
Quando il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg presentò un’offerta a Kevin Systrom per l'acquisizione di Instagram, per esempio, gli disse che Facebook stava sviluppando una app simile, in modo da fargli capire che se non avesse accettato rischiava di rimanere schiacciato dalla competizione. «Ora decidiamo quanto essere competitor o partner (...) e spero decideremo nel modo più saggio», è il messaggio riportato nel documento.
Systrom si ritrovò persino a chiedere a Matt Cohler, ex consulente di Facebook e allora investitore di Instagram se Zuckerberg avrebbe «attivato la modalità distruzione», se avesse detto di no. La risposta fu «probabilmente» e sappiamo come è andata a finire. La controprova è che quando Houseparty, un social network che permette di condividere videochat di gruppo ha rifiutato un’offerta simile, Facebook ne ha imitato lo slogan e la base di utenti di Houseparty si è rapidamente dimezzata.
La dipendenza di clienti e fornitori
Il potere di controllo è esteso a clienti, utenti e fornitori. Uno degli imprenditori che vendono sul marketplace di Amazon ha detto alla sottocommissione: «Sarebbe commercialmente suicida essere nel mirino di Amazon. Se Amazon ci vedesse criticarla, non ho dubbi che ci rimuoverebbe il nostro accesso e distruggerebbe il nostro business».
La forza contro i competitor passa anche dall’autopromozione. Una attività facile per i monopoli della rete che sono veri ecosistemi che cercano di mantenere gli utenti al loro interno il più a lungo possibile. Il rapporto riporta che diverse imprese accusano Google di essere diventato un «giardino recintato».
Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato che più della metà di tutte le ricerche su Google termina su Google o si traduce in un clic su siti di Google, dice il rapporto. Nel caso di Apple invece un avvocato che rappresenta gli sviluppatori ha spiegato che non avrebbero testimoniato perché erano preoccupati delle possibili ritorsioni e dal fatto che le loro «comunicazioni sarebbero monitorate».
E qui veniamo all’altro punto che emerge dal rapporto e che accomuna tutte e quattro le società: sono aziende tipiche della società della sorveglianza.
Aziende della sorveglianza
Un ex dipendente di Amazon ha detto che «Amazon è prima di tutto una società di dati, semplicemente la usano per vendere cose». Cosa significa? Secondo l’indagine Amazon «raccoglie i dati sulle vendite e sui prodotti dal proprio mercato per individuare gli articoli più venduti, copiarli e offrire i propri prodotti concorrenti, in genere a prezzi inferiori».
Con Amazon web service, il ramo cloud del business, il conflitto di interessi si aggrava ulteriormente, visto che l’azienda tratta i dati di aziende che possono competere con lei su altri mercati digitali. Per Google il documento parla di capacità di intelligence dei dati «quasi perfetta».
Il giornalista e attivista Matt Stoller, uno dei maggiori critici degli effetti dei monopoli, ha detto che questo rapporto riorganizzerà l'economia e l’industria americana, ma è anche un documento profondamente politico, soprattutto quando spiega come i colossi della tecnologia abbiano aumentato la loro sfera di influenza tramite la combinazione di attività di lobbying diretta e finanziando think tank e accademia.
L’inchiesta del Congresso arriva dopo decenni di immobilismo delle authority americane, anni che secondo la commissione parlamentare hanno cambiato il capitalismo globale, rallentato gli investimenti nel settore tecnologico, e abbassato la qualità della nostra democrazia.
Vent’anni e 500 acquisizioni dopo la multa a Microsoft del 1998, ultimo grande caso antitrust negli Stati Uniti, la commissione statunitense propone tra le altre cose un rafforzamento delle pratiche delle norme antitrust, il divieto di nuove fusioni e «separazioni strutturali». Insomma, raccomanda di spezzare big tech, e così torna al significato originale delle leggi antitrust, nate per dividere i monopoli, non per conviverci.
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