Il decreto attuativo licenziato dal Consiglio dei ministri prevedeva che il concordato preventivo biennale fosse rivolto ai contribuenti con un punteggio pari almeno a 8. Il parere delle commissioni parlamentari sul decreto riesce nell’impresa di stravolgere questa impostazione e permette anche ai contribuenti infedeli di mettersi al riparo dagli accertamenti
Il ministero dell’Economia, pochi giorni fa, ci ha detto che la propensione all’evasione per i redditi di lavoro autonomo e piccola impresa è pari al 67,2 per cento, sottrae cioè alla collettività più di 30 miliardi all’anno, senza contare l’evasione degli 1,8 milioni di contribuenti del forfetario, su cui non si hanno dati. Il viceministro Maurizio Leo ci ha detto in questi mesi che contrasterà l’evasione con un sistema che non la punisce ma la previene: il concordato preventivo biennale.
Funziona così: l’Agenzia delle Entrate dispone di una mole rilevante di dati, più che sufficienti a determinare con buona certezza il reddito dei lavoratori autonomi e delle imprese con fatturato inferiore a 5 milioni. Invece di utilizzarli per controllare che questi contribuenti dichiarino il vero si opta per una versione fisco amico: il fisco propone il reddito su cui essere tassati e lascia al contribuente la possibilità di accettare o meno la proposta. Se l’accetta pagherà le imposte sul reddito concordato per i due anni successivi e sarà in regola col fisco, qualunque sia poi il suo vero reddito.
Una bella opportunità per chi pensa che avrà redditi superiori. Gli altri semplicemente non aderiranno. Non solo. Nonostante paghi sul reddito concordato, il contribuente dovrebbe dichiarare quello effettivo, per permettere al fisco di fare una proposta più adeguata per il biennio successivo. Ma se non dichiara il vero, nascondendo fino al 30% di reddito, non ha nessuna conseguenza. Una autorizzazione a evadere per un importo non indifferente.
I dati su cui il fisco costruirà la proposta sono in larga parte autodichiarati dai contribuenti, attraverso gli Isa, un insieme di Indicatori utilizzati per assegnare pagelle di affidabilità fiscale. Un punteggio inferiore a 8 segnala al contribuente che i redditi che risultano dai suoi dati sono poco credibili. Il contribuente può allora decidere di adeguare il suo reddito in dichiarazione e ottenere un 8 che lo mette largamente al sicuro da successivi controlli.
Il decreto attuativo licenziato dal Consiglio dei ministri prevedeva che il concordato preventivo fosse rivolto ai contribuenti con un punteggio di 8, o che si adeguavano a quel punteggio in dichiarazione (e da lì stimava di raccogliere più di 600 milioni).
Il parere delle commissioni parlamentari sul decreto riesce nell’impresa di stravolgere radicalmente questa impostazione. Ammette infatti al concordato preventivo tutti i contribuenti, anche quelli con punteggi Isa inferiori a 8, e impone all’Agenzia di fare una proposta di non più del 10% maggiore del reddito dichiarato dal contribuente nell’anno preso a riferimento.
Tutti i dati di cui dispone il fisco – non solo gli Isa, ma anche, per esempio, i dati finanziari e di fatturazione elettronica – non servono più a niente. Essere affidabili penalizza, perché permette al fisco di partire da un dato più vicino al vero, mentre chi è stato infedele, cioè ha evaso il fisco, ma accetta di pagare un poco di più, si mette al riparo dagli accertamenti che nel suo caso sarebbero stati invece più probabili. Una vera e propria legalizzazione dell’evasione da cui deriverà una caduta ulteriore di gettito, perché si spingeranno i contribuenti verso l’inaffidabilità.
Ci sono altre chicche nel parere della maggioranza parlamentare. Il contribuente dovrebbe potere decidere se gli va bene la proposta per il 2024 entro il 15 ottobre del… 2024, e cioè quando avrà la ragionevole certezza di sapere se la proposta gli conviene o no.
La proposta dovrebbe riguardare un solo anno per i contribuenti forfetari, che così non correranno neppure il rischio di avere accettato una proposta non conveniente per l’anno successivo. Se, ex post, la proposta accettata si rivelasse svantaggiosa si potrà uscire dal concordato utilizzando un criterio meno stringente rispetto a quello previsto nel decreto.
Una vera cuccagna. Se, come sembra, il viceministro ha dato il suo assenso preventivo a questo parere e le osservazioni verranno quindi accolte, si metterà davvero fine a quell’odioso pizzo di Stato che, secondo la premier Meloni, è il contrasto all’evasione.
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