- Secondo la Corte il diritto della UE tutela, oltre agli interessi pubblici, gli interessi specifici del singolo acquirente nei confronti del costruttore, qualora il veicolo sia dotato di un impianto di manipolazione vietato
- Il caso su cui la Corte si è espressa riguardava una Mercedes il cui diesel disattivava la depurazione dei gas di scarico al di sotto di una certa temperatura
- Fiat è oggetto di class action in vari paesi UE ma non in Italia - I governi hanno sempre sostenuto che i diesel rispettano le norme, ma la UE ha aperto una procedura di infrazione contro il nostro paese
La Corte europea di giustizia di Lussemburgo ha confermato ieri il diritto al risarcimento di chi abbia acquistato veicoli diesel dotali di dispositivi illegali, se ha subito un effettivo danno; secondo la Corte il diritto dell’Unione tutela, oltre agli interessi pubblici, gli interessi specifici del singolo acquirente di un autoveicolo nei confronti del costruttore di tale veicolo qualora esso sia dotato di un impianto di manipolazione vietato. La sentenza dei giudici europei potrebbe rilanciare le cause collettive intentate contro vari costruttori in numerosi paesi dopo il cosiddetto dieselgate del 2015.
La sentenza
Esaminando il caso di un acquirente di una vettura Mercedes, trasmesso alla Corte da un tribunale tedesco, i giudici della Corte Ue hanno sottolineato ieri che gli interessi individuali dell’acquirente sono tutelati nei confronti del venditore; e quindi gli stati membri devono prevedere che l’acquirente di tale veicolo abbia diritto al risarcimento da parte del costruttore.
La Mercedes in questione usava una cosiddetta “finestra termica” per disattivare i meccanismi di pulizia dei gas di scarico: la depurazione dei fumi avviene solo all’interno di una forchetta di temperature ambientali; con temperature al di sotto di una certa soglia, i dispositivi vengono staccati e di fatto rimangono inattivi per la maggior parte del tempo. Secondo la Corte tale dispositivo, che comporta un aumento delle emissioni di ossidi di azoto (NOx), è vietato dal regolamento Ue 715 del 2007 relativo all’omologazione dei veicoli a motore.
La Corte federale tedesca prenderà in esame nel mese di maggio la sentenza Ue e deciderà che impatto avrà sulla giurisdizione nazionale; la Corte Ue ha comunque ribadito che restano demandate alle corti nazionali un paio di questioni di fondo: se nei singoli casi si possa parlare di dispositivi illegali, e come possa essere quantificato il danno per il consumatore. La Mercedes non è l’unico costruttore accusato per il dieselgate.
Gli altri costruttori
Lo scandalo è partito quando nel 2015 la connazionale Volkswagen è stata scoperta dalle autorità americane a utilizzare un cosiddetto defeat device – un software che era in grado di riconoscere le condizioni dei test di omologazione e attivava solo in test la depurazione ottimale dei fumi di scarico, riducendola poi in condizioni di guida normale. Lo scandalo è costato finora a VW oltre 30 miliardi di euro, con multe sia negli Stati Uniti che in Europa.
I test effettuati in Europa da molte autorità di controllo tra cui Germania, Francia, Regno Unito e Italia, hanno mostrato che quasi tutti i diesel Euro 5 e i primi Euro 6 emettono in condizioni normali di guida ossidi di azoto in quantità nettamente superiore ai limiti di legge, spesso con l’utilizzo di espedienti simili a quelli di VW o Mercedes.
I costruttori si sono sempre difesi affermando che l’obiettivo era evitare danni ai motori, ma alcuni di loro sono già stati sanzionati anche in Europa: la stessa Mercedes ha pagato 870 milioni di euro di multa nel 2019.
Fiat Chrysler ha patteggiato l’anno scorso una condanna negli Stati Uniti nella causa penale per truffa sui motori diesel, pagando 300 milioni di dollari in aggiunta ai risarcimenti dei consumatori - il totale dei costi supera il miliardo di euro.
Le cause in corso
La sentenza europea di ieri potrebbe avere un effetto sulla causa collettiva intentata in Italia dai consumatori riuniti in Altroconsumo contro Volkswagen. Il procedimento nel 2021 ha visto in primo grado la condanna di VW a pagare un totale di 185 milioni di euro a circa 63mila querelanti; l’azienda ha fatto appello.
Cause per risarcimento danni sono state intentate in numerosi paesi contro altri costruttori, compresa Fiat (ora Stellantis).Il bilancio 2022 di Stellantis cita class action aperte in Olanda, Regno Unito, Germania, Portogallo e Austria, ma nessuna in Italia. Come mai?
Le associazioni dei consumatori si sono concentrate all’inizio su Volkswagen, la prima colta in flagrante negli Stati Uniti. Così come Volkswagen e altri costruttori, Fiat non ha mai ammesso di aver violato norme Ue. Il governo italiano, cui spetta la responsabilità di controllare la rispondenza dei veicoli alle norme, ha effettuato nel 2016 test su veicoli Euro 5, compresi quelli Fiat. I test hanno dato gli stessi risultati di quelli esteri; in particolare, è scritto, «tutte le vetture Fiat Chrysler provate mostrano elevati livelli di NOx nel ciclo [di test] condotto a caldo, tra 350 e 520 mg/km [contro un limite di 180 mg/km]».
Il governo - ministro dei Trasporti era allora il democratico Graziano Del Rio -, non ritenne di svolgere ulteriori indagini né prendere provvedimenti; negli anni successivi i diesel Fiat sono stati messi sotto accusa in vari paesi, dalla Germania all’Olanda, e i governi italiani hanno sempre sostenuto sia la propria autorità esclusiva sull’omologazione, sia la conformità dei diesel Fiat. A differenza di altri paesi, c’è da dire che in Italia non c’è in questo settore un’autorità di omologazione e controllo indipendente, ma la sorveglianza è di competenza del ministero dei Trasporti.
Procedura di infrazione
Sul caso dei diesel la commissione Ue ha avviato fin dal 2017 una procedura d’infrazione contro l’Italia; un suo provvedimento del dicembre 2021 stabiliva che «sebbene abbia disposto il richiamo obbligatorio dei veicoli interessati, secondo la commissione l’Italia non ha applicato le disposizioni nazionali in materia di sanzioni ai casi in cui sono stati installati impianti di manipolazione su veicoli omologati in Italia». Il passo successivo sarebbe un possibile deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia europea.
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