Il parlamento, pur lamentando i tempi strettissimi, ha approvato il piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha detto che con questo piano rimuoviamo il blocco delle lobby che ha frenato il paese. Ma basta guardare le discussioni a livello locale, i progetti inseriti dalle aziende, le misure rinviate per capire che questo Pnrr è anche, non solo ovviamente, frutto delle lobby, una sorta di creatura a metà tra quello che siamo e quello che dovremmo essere se le riforme che chiede Brunetta venissero fatte come devono.

Il piano è stato redatto accogliendo progetti pubblici e privato: il governo Conte due non ne ha mai fatto mistero. La crisi di governo innescata da Matteo Renzi ha aperto un periodo in cui si sono affastellate le richieste di modifiche e per far quadrare i conti, sono stati fatti semplicemente lievitare, tra l’altro con l’aggiunta dei miliardi del fondo di coesione, che ora il nuovo governo deve reintegrare con uno scostamento di bilancio, dopo essersi inventato un fondo parallelo da 30 miliardi. Il ministro Cingolani ha detto che i nuovi progetti non hanno più nome e cognome e che si procederà a gara. Le gare sono obbligatorie, ma molti fondi hanno le stesse destinazioni, a partire da quelli per gli impianti di stoccaggio di CO2, che prima avevano il nome e cognome di Eni a Ravenna. Ci sono insomma comunque vincitori e vinti. Vinceva prima e vince ora, Leonardo, sia per i fondi nella filiera dell’aerospazio, sia per quelli investiti nella sicurezza dei dati, da quelli sanitari e persino a quelli che servono per l’economia circolare. Tra i “vincitori” un report di Mediobanca indicava le società delle torri Raiway e Eitowers. Il nuovo Pnrr, infatti, aumenta i fondi per tutte le tecnologie di connessione, «facendo leva sulle migliori soluzioni tecnologiche disponibili, sia fissa che FWA» e incentivando «la diffusione dell’infrastruttura 5G» Sulla banda larga il piano è pronto a garantire «la piena concorrenza». E sulla concorrenza il governo si è impegnato a varare finalmente la legge annuale che non si vedeva dal 2017. Draghi ha anche chiamato uno dei massimi esperti, Marco D’Alberti e ha fissato la prima scadenza a luglio 2021. Eppure allo stesso tempo sono stati rimandati anche tutti i dossier che in questi mesi si stanno accumulando a Palazzo Chigi sulle procedure di infrazione legate alla direttiva Bolkenstein.

La faccenda balneari, prima di tutto, che con la delega del Turismo è passata dal democratico Franceschini al leghista Garavaglia, con in mezzo una lettera di messa in mora della commissione europea, senza che nessuno quest’estate voglia sfidare una lobby organizzata di 8mila persone. E poi gli ambulanti, le concessioni idroelettriche, in mano per l’85 per cento a Enel e in scadenza al 2029 e a enti locali per il resto della quota e ripetutamente prorogate. Anche per le concessioni autostradali il governo si è dato più tempo. Insomma, si frena quando i beni pubblici sono nelle mani di pochi. Mentre la certezza sulla concorrenza sembra essere la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, per il cui completamento servono solo decreti attuativi, ma che finora ha portato alle famiglie bollette più care del 26 per cento secondo la stessa autorithy Arera. Il rischio, dunque, è che si passi dalla teoria del beneficiare i molti a beneficiare i pochi e danneggiare i molti. Sul codice degli appalti il tentativo è trovare un compromesso tra la liberalizzazione assoluta invocata dalla Lega e i controlli che dovrebbero essere affidati all’Anac, authority che è stata picconata per molto tempo e che ora dovrebbe recuperare centralità. Intanto secondo l’ultimo decreto del Mite un iter semplificato è riservato ai alle imprese ricorrenti che sono soprattutto le grandi imprese. 

Transizione a gas

Tra i vincitori della transizione ecologica, poi, ci sono sicuramente i colossi del gas. Il nuovo piano rispetto al primo investe molto di più sull’idrogeno, che è una filiera strategica su cui l’Unione europea sta lanciando progetti comuni e invece riduce i fondi per l’economia circolare. In parlamento Draghi  rispondendo a chi gli chiedeva chiarezza su investimenti in idrogeno verde non ha avuto il coraggio di nominare l’idrogeno blu. Ha spiegato che si tratta di una scelta legata al ritmo con cui riusciremo ad aumentare la produzione di rinnovabili. Con il rischio che per arrivare agli  obiettivi di decarbonizzazione si finisca a finanziare con i fondi europei grandi progetti a gas di campioni nazionali come Snam.

Ma  vincitori e vinti ci sono anche tra le amministrazioni locali. Draghi ha rivendicato in parlamento che non ci sono più i numeri dei centri di ricerca e che anche per quelli si farà una gara. E a Torino si sono subito preoccupati che il centro per la ricerca sull’intelligenza artificiale non vada più alla città. A Firenze il sindaco Dario Nardella ha ottenuto il finanziamento, sotto il cappello del ministero della cultura, dello stadio Franchi: 95 milioni di euro inseriti tra i 14 progetti «grandi attrattori culturali» del fondo parallelo. Sempre dallo stesso fondo del resto sono ricavati i fondi per Cinecittà- Istituto Luce: 300 milioni di euro che dovrebbero rilanciare il polo di produzione della Capitale nel cui cda siede anche Goffredo Bettini. 

Per il resto, sembra difficile al centro e in provincia rassegnarsi all’idea che i progetti vadano valutati e ci debbano essere delle gare.

 

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