Nel 40 per cento dei casi, i figli assorbono tra il 30 e il 50 per cento del bilancio familiare; per un altro 15 per cento si sfora la soglia della metà del bilancio e si arriva anche al 70 per cento. I figli dei ceti popolari hanno meno diritti, meno opportunità su studio, sport, salute e cultura
Mantenere e far crescere un figlio è sempre più caro. E lo è soprattutto per le famiglie meno abbienti. A confermarlo con tanto di dati è la ricerca appena sfornata dal centro studi Legacoop e Ipsos.
Solo nel 17 per cento delle famiglie i figli assorbono meno del 20 per cento del bilancio familiare. Si tratta di quei nuclei in cui i ragazzi contribuiscono con i loro lavori all’economia familiare. Nel 28 per cento delle famiglie (32 per cento nel ceto medio) i figli incidono sul bilancio famigliare con una quota che oscilla tra il 20 e il 30 per cento.
Il bilancio
Ben diverso è il quadro nel restante 55 per cento delle famiglie italiane. Qui troviamo tre diversi livelli di incidenza. Nel 23 per cento dei nuclei familiari i figli assorbono tra il 30 e il 40 per cento del bilancio. Nel 17 per cento delle famiglie (22 per cento nei ceti popolari) il costo dei figli prosciuga tra il 40 e il 50 per cento delle entrate.
Infine, la restante quota del 15 per cento delle famiglie (21 per cento nei ceti popolari) denuncia di investire per la crescita e il benessere dei figli oltre la metà del bilancio familiare (con punte che arrivano a sfiorare il 70 per cento). Le voci di spesa maggiori sono: abbigliamento (63 per cento), testi scolastici (51), scarpe, borse, accessori vari, bigiotteria (48), attività sportiva e o palestra (48) e mangiare fuori casa (46).
C’è poi un set di costi legati al materiale scolastico, alle spese mediche, allo svago e divertimenti, alla mobilità, all’acquisto di computer, telefono, tablet, playstation che ruotano intorno al 45 per cento. Completano il quadro dei costi: farmaci e integratori (42), linee telefoniche (31), viaggi studio (30), corsi di lingua (30) e mensa scolastica (29), senza dimenticare le spese per corsi di musica, canto, arte (26), per make up, prodotti bellezza e cura del corpo (25), per parrucchiere, estetista, piercing (24), nonché per doposcuola o baby-sitter (23).
Le rinunce
Tutto questo ammasso di spese incide in modo molto differente nelle famiglie appartenenti ai ceti popolari. Ne sono un esempio i costi per l’abbigliamento (69 per cento), i libri di testo (60), lo svago e divertimenti (51), la mobilità (50), il materiale scolastico (49), le spese mediche (49) e i farmaci o integratori (46). Per garantire livelli di benessere ai figli le famiglie sono disposte a fare rinunce e tagli.
La scure colpisce in primo luogo i genitori stessi, che rinunciano ad acquistare qualcosa per sé stessi (66 per cento in media, con punte dell’84 per cento nei ceti popolari). Vengono tagliate inoltre le spese per ristoranti e vacanze (60 per cento, con picchi dell’82 nei ceti popolari); le ipotesi di acquisto di un’auto nuova (58 di media, 76 nei ceti popolari) o di nuovi elettrodomestici (53 di medio, 78 nei ceti popolari), nonché la spesa alimentare (51, con punte del 76 per cento nei ceti popolari). Infine, il 39 per cento dei genitori rinuncia a visite mediche per sé pur di garantire ai figli tutto il possibile (63 per cento nei ceti popolari).
Le rinunce imposte ai figli, invece, sono mediamente contenute, ma questo riguarda soprattutto i figli del ceto medio. Le privazioni su abbigliamento, scarpe e accessori colpiscono il 21 per cento dei pargoli del ceto medio e il 70 per cento tra quelli del ceto popolare. Il telefonino nuovo è negato al 25 dei figli del ceto medio e sale al 54 tra i figli del ceto popolare.
Le spese per le uscite con gli amici colpiscono il 17 per cento della prole del ceto medio, mentre lievitano al 46 nei ceti popolari. I ragazzi e le ragazze dei ceti popolari devono rinunciare maggiormente anche al corso di studi desiderato, allo sport, a corsi di musica e cultura, a iscriversi all’università o a frequentare l’asilo nido.
La disuguaglianza
Il tema del costo dei figli non porta alla luce solo le dinamiche della società iperconsumistica, in cui i genitori si sforzano in ogni qual modo per non far mancare nulla ai propri figli, ma evidenziano soprattutto la profonda faglia di disuguaglianza nelle opportunità che si perpetua ogni giorno nella nostra società.
Le famiglie dei ceti popolari, a causa di un welfare inefficiente e vacuo, della precarizzazione lavorativa ed esistenziale, si vedono costrette a enormi sacrifici per dare ai figli un’istruzione, un’assistenza medica adeguata, la possibilità di fare sport o attività culturali.
Il problema non sono le scarpe firmate, il make up alla moda o l’ultima versione del cellulare. Il problema vero e profondo è che la società italiana oggi sta garantendo ai figli delle famiglie meno abbienti sempre meno opportunità in termini di diritto allo studio, alla salute, alla crescita culturale e al benessere fisico e mentale.
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