La prima e assoluta preoccupazione per il 40 per cento della generazione Z di fronte al lavoro è quella di essere sfruttati. Al secondo posto dei timori c’è quello di non avere più tempo per sé, come denuncia il 28 per cento dei giovani
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Lavoratori italiani sempre più poveri e disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, sono solo alcuni dei temi che i recenti report dell’Istat hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica. La quota di persone occupate a rischio di povertà è passata dal 9,5 per cento del 2010 all’11,5 per cento nel 2022. Non solo.
A fine 2023, sempre secondo l’Istat, le persone disoccupate erano circa un milione e ottocento mila (ovvero il 7,2 per cento), mentre le imprese italiane, nel 2023, hanno avviato ricerche di personale pari a oltre 5 milioni di posti (fonte Anpal e Unioncamere) e trovare un candidato è stato difficile e lungo per il 45 per cento delle imprese.
Il dialogo tra le aziende e le persone sembra essere, almeno in parte, un dialogo tra sordi e quelli che sembrano sentirci di meno appaiono essere proprio le imprese. Due mondi che rischiano di muoversi in direzioni opposte e con forti difficoltà a convergere.
Per comprendere le dinamiche in atto nel mondo giovanile rispetto al lavoro, l’osservatorio Fragilitalia del centro studi Legacoop e Ipsos ha realizzato poche settimane fa un’indagine tra le ragazze e i ragazzi del nostro paese da cui emergono le attese dei giovani, ma anche le paure, i timori e l’immagine che hanno del lavoro e della sua relazione con il resto dell’esistenza.
Le preoccupazioni
La prima e assoluta preoccupazione della generazione Z di fronte al lavoro è quella di essere sfruttati (40 per cento, un dato che nel Mezzogiorno sale al 48 per cento). Al secondo posto dei timori c’è quello di non avere più tempo per se stessi (28 per cento).
Strettamente legato a questo aspetto c’è il tema degli orari (24) e, soprattutto, la paura di non avere tutele (24). Altra preoccupazione dei ragazzi e delle ragazze è quella di essere sottoposti a responsabili che hanno meno preparazione o conoscenze di loro (23). I giovani hanno poi paura di essere poco apprezzati (23), di diventare solo un numero (22), di essere discriminati (16) o di essere l’ultima ruota del carro (15). F
a paura, infine, la possibilità di incappare in un capo autoritario (15 per cento). La vulgata che dipinge i giovani come poco volenterosi, cresciuti nella bambagia, poco inclini ad accettare qualsiasi tipo di lavoro perché abituati a non fare sacrifici, a divertirsi e ad avere la vita facile, non emerge dai dati della ricerca. Anzi, si evince una dinamica molto più complessa e articolata.
Le opinioni che i giovani hanno del lavoro non paiono essere il frutto di disimpegno e apatia, ma il portato di lustri di precarizzazione, di stipendi bassi, di contrattini, di un modello che rende impossibile ai ragazzi e alle ragazze fare progetti a medio lungo periodo, ma anche di scarsa di meritocrazia e di un autoritarismo strisciante rivenduto come regole aziendali.
Cosa chiedono i giovani
Per non parlare dei pesi che in tutto questo hanno in più le ragazze, sottoposte sovente nei colloqui di lavoro alla fatidica domanda se intendono fare figli. I giovani di oggi non rifiutano l’impegno, ma hanno anzi una chiara idea di che cosa dovrebbe essere il lavoro.
Al primo posto c’è la stabilità (23 per cento ed è il tema più citato come prima caratteristica indispensabile per un posto di lavoro), il trattamento economico (25 per cento), l’autonomia e l’indipendenza (24), la disponibilità di orari flessibili (23), la coerenza con la formazione e gli interessi personali (18), i buoni rapporti con colleghi e superiori (20), la possibilità di carriera e crescita professionale (16), la possibilità di viaggiare e di usufruire dello smartworking (entrambi al 15 per cento).
L’idea di lavoro che hanno in mente le ragazze e i ragazzi non è un sogno irrealizzabile, ma è uno strumento per affermare la propria indipendenza (81 per cento), una fonte di reddito (79), un mezzo capace di offrire dignità a una persona (76) e di permettere la costruzione di una posizione sociale (77), ma anche un modo per esprimere al meglio le proprie capacità (76), nonché uno strumento per realizzarsi come persona (73) e … udite udite: un diritto (74 per cento).
Quello che vanno cercando i ragazzi e le ragazze è un’occupazione su cui poter fondare un progetto di vita in grado di garantire indipendenza, dignità, ruolo, appagamento e equilibrio esistenziale.
La gen Z si avverte come una generazione dal futuro corto e fragile: di conseguenza le parole che identificano il domani sono sicurezza, uguaglianza, stabilità, serenità, ecologia e giustizia sociale. È quello che cercano nel lavoro e nella vita. È quello che forse, fino ad oggi, poche imprese hanno compreso pienamente e messo al centro della loro cultura aziendale e del loro modo di cercare personale.
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