Alcune pulsioni antidemocratiche non sono patrimonio solo della cultura illiberale americana, ma si annidano anche nelle viscere della società italiana. Se negli Usa Jack Posobiec (attivista politico americano di alt-right), nel suo libro Unhuman, afferma che i progressisti e quelli di sinistra non devono essere considerati come esseri umani, in Italia troviamo diversi inconsapevoli discepoli.

La recentissima indagine sulle pulsioni politiche presenti nel paese (settembre 2024) mostra un quadro preoccupante. Il 18 per cento ritiene i progressisti e la sinistra un pericolo e pensa che non debbano essere considerati come esseri umani. Il 36 per cento dell’opinione pubblica nazionale condivide, come va predicando oltreoceano Posobiec, la narrazione che tratteggia i comunisti come soggetti annidati nelle aule di giustizia e universitarie per danneggiare le «persone buone e oneste».

I numeri dell’ostilità 

Non solo. Il 37 per cento, in inconsapevole sintonia con il neo presidente argentino Javier Milei, considera le persone di sinistra come soggetti guidati da invidia, odio e risentimento. In un recente articolo apparso su questo giornale si è parlato del delinearsi dei tratti di un’internazionale illiberale. I dati italiani mostrano che ci troviamo di fronte al riemergere di pulsioni mai sopite, a narrazioni semplicistiche ed estremizzanti, a un movimento carsico di affinità pulsionale caratterizzato da un comun sentire che si alimenta di affermazioni stereotipate e apodittiche.

Suggestioni volte a demonizzare l’avversario, a rifuggire le forme del confronto con chi la pensa diversamente, facendo dell’intolleranza portata all’estremo il tratto della propria identità politica e dell’annientamento del nemico (che non è più semplice avversario) lo scopo dell’agire politico. Pulsioni empatiche, primordiali, orientate a una dannosa tendenza alla disumanizzazione dell'avversario, che arrivano a negare (per ora a parole) non solo i diritti democratici degli avversari, ma persino la loro umanità.

Una deriva pericolosa

Si tratta di derive pericolosamente illiberali che possono agevolare la strada a forme antidemocratiche e autoritarie. Già oltre trent’anni fa Norberto Bobbio ha più volte sottolineato i rischi derivanti da una polarizzazione eccessiva e da una contrapposizione radicale. Lo scontro quando assume i toni della demonizzazione, ricordava il filosofo, mina le basi stesse della convivenza civile e democratica.

La tendenza che attraversa parti delle viscere dell’opinione pubblica nostrana è alimentata da narrazioni complottistiche che, accentuando l’immagine stereotipata delle infiltrazioni, mostra un atteggiamento di sospetto e paranoia che mina la fiducia nelle istituzioni democratiche e del modello di democrazia.

Il complottismo non va considerato in modo superficiale. Non è un fenomeno goliardico, ma è parte integrante di una visione semplificata della politica, è lo strumento che agevola le narrazioni basate sullo scontro tra buoni-cattivi (di cui Donald Trump è un esempio tipico). Il complottismo è una malattia dell’estremismo illiberale, è il rifugio di chi fatica ad accettare la complessità del reale e cerca spiegazioni semplificate e rassicuranti, individuando capri espiatori.

Le pulsioni che raccontano i dati analizzati mostrano la presenza in alcuni strati del paese di una dimensione di odio e risentimento che ha i contorni di un vero e proprio virus antidemocratico. La sfida nel contrastare e isolare tale virus riguarda tutte le forze politiche, di sinistra e di destra.

Per costruire il futuro del paese occorre alimentare le energie pulite e positive della società, scevre da complottismo e demonizzazioni. Occorre promuovere, in ogni latitudine politica, una cultura del rispetto, del confronto e del riconoscimento reciproco. La guerra agli stereotipi e alla radicalizzazione ostracizzante non esenta nessuno dall’impegno, perché un paese cresce se cresce in coesione e dialogo, non aizzando contrapposizioni o soffiando sulle tensioni politiche e sociali.

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