L’Italia è al primo posto nella classifica globale della paura di perdere il posto di lavoro, insieme al Sudafrica. Si colloca nelle posizioni basse della scala mondiale sulla percezione della positività della situazione economica del paese; mostra, tuttavia, una certa tenuta del contesto sociale, collocandosi a metà della classifica nella percezione delle disuguaglianze sociali (superata addirittura da Germania e Gran Bretagna).

L’indice di coesione sociale di Ipsos mostra un quadro globale pernicioso. Il numero dei cittadini che in 27 nazioni avverte la debolezza e la fragilità del livello di coesione presente nel loro paese è quasi il doppio di quanti descrivono uno stato di positiva solidità. L’indice medio tra i 27 paesi ha un segno negativo (-20), con solo sei paesi dotati di un segno positivo. L’Italia si piazza nelle parti basse della classifica, con un secco -40. Peggio, in Europa, troviamo la Spagna (-41 per cento), il Belgio (-46 per cento), la Francia (-49 per cento) e la Polonia (-51 per cento). In fondo alla classifica si collocano due tigri asiatiche, come Corea del Sud e Giappone (-52 per cento). La Germania (-25 per cento) e la Gran Bretagna (-26 per cento) mostrano una situazione leggermente migliore, ma sempre al di sotto della media globale. Solo la Svezia, in Europa, segna un indice di coesione sociale con segno positivo (+3 per cento).

Complessità globale

Le dinamiche economiche e sociali in atto evidenziano la complessità in cui si trova l’intero quadro globale.

L’esplosione del Covid-19, dopo la pesante crisi economica che ha attraversato il pianeta dal 2008 in poi, ha ulteriormente accentuato la crisi del modello turbo-capitalista liberista.

Il bisogno di riformare il capitalismo nella sua versione liberista, che aleggia nell’opinione pubblica (ne è convinto il 60 per cento degli italiani), è accentuato dalle stesse scelte adottate dai governi per fronteggiare la pandemia.

Il filosofo francese Edgar Morin sottolinea che tali scelte sono «opposte rispetto al dogma che governava il mondo: hanno aumentato le spese laddove prima le si riduceva, hanno introdotto il controllo di stato laddove lo si sopprimeva, hanno introdotto tutele per un’autonomia economica laddove era esaltato il libero commercio».

Il bivio per il capitalismo

Le contraddizioni rimarcate dal Covid-19 mostrano il bivio di fronte a cui si trova il modello capitalista. Da un lato la possibilità di imboccare la via di una riforma calmierante degli spiriti arditi e pirateschi del liberismo.

Su questa strada sembrano collocarsi la necessità di un indirizzo maggiormente etico nelle scelte d’impresa, come enunciato dai Ceo delle grandi aziende americane riuniti nella Business Roundtable.

Oppure le aspirazioni a un capitalismo inclusivo, per riequilibrare la dimensione puramente estrattiva o di spremitura delle risorse e del capitale umano; nonché la volontà di mandare in soffitta lo spirito liberista, per affermare una dimensione maggiormente “progressista” del capitalismo, come auspica Stiglitz.

C’è anche un’altra via per il futuro del capitalismo. Si basa sul semplice principio di non cambiare nulla, di lasciare che il processo socio-economico prosegua il suo naturale percorso, lasciando scivolare la realtà verso una dimensione sempre più tecno-oligarchica, accelerando il processo d’individualizzazione dei rapporti nel lavoro, sospingendo ulteriormente la ritirata della politica e accentuando le forme di controllo e sorveglianza sia verso l’esterno (per fermare i flussi migratori e accrescere forme di protezionismo economico nazionale), sia verso l’interno (rispetto alle forme di protesta e tensione sociale).

Sulla soglia di questo crocevia, il Covid-19 ha evidenziato alcune traiettorie che possono spingere a imboccare l’una o l’altra via, come ad esempio: il ridisegno dei rapporti di forza tra i paesi e l’accentuarsi delle spinte protezionistiche; l’ampliamento delle disuguaglianze sociali segnato dall’aumento di potenza e opulenza delle persone più ricche al mondo e per converso dalla crescita della povertà estrema (la Banca mondiale stima il 9 per cento della popolazione mondiale); il manifestarsi di oscillazioni tra le spinte verso una democrazia oligarchico-plutocratica e la ricerca di nuove forme di comunità fondate sul melting pot e la fratellanza; la feticizzazione degli spazi locali e la valorizzazione dei particolarismi in un’ottica di costruzione di rifugi ed enclave.

Le dinamiche europee

Oltre a queste dinamiche globali, la pandemia ha accentuato alcune tendenze interne all’Unione europea: la tendenziale de-solidarizzazione delle relazioni tra i paesi, con l’incapacità di avere una visione comune anti-pandemica; il lento e faticoso recupero di ruolo della Commissione europea con il Next generation e il Green new deal; il progressivo affermarsi di un sovranismo soft attraverso l’egoistizzazione delle relazioni tra gli stati.

Nonostante l’affresco non idilliaco, il contesto globale mostra il permanere, nel cuore delle diverse società, di una spinta alla socievolezza, un bisogno di comunità positiva e non escludente, la ricerca e l’aspirazione delle persone a un mondo migliore.

Una dinamica che mantiene una sua dimensione propulsiva e aggregativa, nonostante la paralisi dell’immaginario politico che attraversa in lungo e in largo il globo.

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