I numeri del rapporto annuale. Quasi un italiano su dieci vive senza potersi permettere le spese essenziali, e va peggio tra i più giovani. L’8,2 per cento dei lavoratori dipendenti guadagna meno della soglia di povertà, crolla il potere d’acquisto
È un’Italia più povera quella che esce dal rapporto annuale 2024 dell’Istat, presentato questa mattina alla Camera dei deputati dal presidente Francesco Maria Chelli. Nonostante una crescita dell’economia superiore rispetto alle quattro maggiori dell’Ue tra il 2019 e lo scorso anno, e nonostante il record di occupati, la povertà assoluta tocca livelli mai raggiunti negli ultimi dieci anni e, parallelamente, aumentano i cosiddetti lavoratori poveri.
L’analisi dei territori fotografa poi un’Italia con differenze sempre più marcate tra nord e sud.
Aumenta la povertà
Nel 2023 la popolazione in povertà assoluta è salita al 9,8 per cento e ha raggiunto «livelli mai toccati negli ultimi dieci anni», per un totale di 2 milioni 235mila famiglie e di 5 milioni 752mila individui. In altri termini, quasi un italiano su dieci vive senza potersi permettere le spese essenziali per condurre uno standard di vita minimamente accettabile, nonostante l’attenuazione dovuta all’impatto positivo delle misure di sostegno, soprattutto del reddito di cittadinanza. Rispetto al 2014, l’incidenza è aumentata di 2,9 punti percentuali.
Le maggiori disuguaglianze economiche preoccupano perché riguardano soprattutto le nuove generazioni: più una persona è giovane – sottolinea l’Istat – più è probabile che abbia difficoltà. Lo testimoniano i dati: «1,3 milioni di minorenni sono in condizioni di povertà assoluta», con un’incidenza del 14 per cento, mentre livelli più elevati della media nazionale si registrano anche per i 18-34enni e i 35-44enni (rispettivamente 11,9 e 11,8 per cento).
Crescono i lavoratori poveri
Cresce l’occupazione, ma cresce anche il lavoro povero. La quota degli occupati a rischio di povertà è all’11,5 per cento (nell’Ue è l’8,5), quella dei lavoratori dipendenti in povertà assoluta dell’8,2. E diminuisce anche il potere d’acquisto dei salari lordi che, negli ultimi dieci anni, è sceso del 4,5 per cento. Una conseguenza indiretta degli alti tassi di inflazione registrati negli ultimi anni, dal Covid in poi.
«Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni – si legge nel rapporto – l'Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023 il potere d'acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5 per cento mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l'1,1 della Francia e il 5,7 della Germania».
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