- Il 24,6 per cento dei 15-29enni ha un reddito inferiore a 850 euro al mese
- Dopo la Grande Recessione del 2008, la condizione dei giovani è molto peggiorata
- Nel frattempo, le maggiori tutele hanno portato la povertà tra gli anziani ai minimi storici
I nuovi dati Eurostat sulle persone a rischio di povertà confermano una tendenza ormai in atto da tempo. Per la prima volta nella storia, almeno da quando si è sviluppata un’economia di mercato, i giovani hanno in media una maggiore probabilità di essere poveri rispetto agli anziani. Nel 2021, infatti, in Italia il 24,6 per cento dei giovani tra 15 e 29 anni era a rischio di povertà, circa 1 su 4. Il dato scende al 20,1 per cento per la popolazione in generale e al 15,7 per cento per gli over-60, quasi 10 punti percentuali in meno rispetto agli under-30.
Una persona è a rischio di povertà (o in povertà relativa) quando il suo reddito è inferiore al 60 per cento del reddito mediano, ossia il reddito percepito da chi si trova a metà della distribuzione: metà della popolazione guadagna di più, metà guadagna di meno. Il reddito mediano è una misura migliore rispetto al reddito medio, che tende a essere sovrastimato dal peso dei redditi molto alti. Se si guarda a questo indicatore, dunque, una persona in Italia si trova in povertà relativa quando ha entrate annue inferiori a 10 mila euro circa, poco più di 850 euro al mese.
Il grafico mostra chiaramente come nei maggiori paesi europei il rischio di povertà sia sempre più alto per i giovani rispetto agli anziani. Per l’Italia spicca però sia il livello (1 under 30 su 4, contro una media Ue di 1 su 5), sia la distanza decisamente più elevata rispetto alla media europea.
Non è un caso, ma il risultato di decenni di politiche a favore solamente delle fasce di popolazione più anziane. Sia chiaro, nessuno si augura un livello di povertà tra gli anziani più alto per poter “pareggiare i conti”, ma questi dati mostrano quello che la politica e una buona parte della popolazione vogliono negare: gli anziani, i pensionati, non sono la fascia di popolazione più in difficoltà, anzi, sono quelli che rischiano meno di trovarsi in povertà.
L’inversione di tendenza nella povertà
Da alcuni anni, le persone in povertà assoluta, ossia non in grado di acquistare una certa quantità di beni e servizi ritenuti fondamentali per la sussistenza, sono soprattutto giovani, mentre al crescere dell’età la percentuale cala. Non è sempre stato così. Nel 2006, gli under-35 in povertà assoluta erano il 9,5 per cento del totale, contro il 13,8 per cento degli over-65.
In passato, le persone anziane risultavano economicamente più deboli perché, diventando sempre meno abili al lavoro, non avevano la possibilità di migliorare la propria condizione economica. Gli importi delle pensioni e dei sussidi, inoltre, risultavano più bassi rispetto alla situazione attuale. Nel tempo le tutele a favore dalla popolazione anziana sono giustamente aumentate, ma nel frattempo l’evoluzione del mercato del lavoro ha reso sempre meno protette le persone più giovani.
Oggi, l’incidenza della povertà assoluta tra i 18-34enni è doppia rispetto a quella degli over-65. Le difficoltà delle persone in età genitoriale hanno anche avuto un impatto sui figli: i minori che si trovano in povertà assoluta sono il 14,2 per cento del totale, quasi 1 su 6.
Eppure, le proposte politiche della maggioranza, ma spesso anche dell’opposizione, si concentrano molto sulle fasce più anziane della popolazione. Il motivo è evidente: l’affluenza al voto tende ad aumentare al crescere dell’età e i partiti seguono gli interessi di chi vota. Sarebbe però il caso di smettere di dipingere i pensionati come una fascia di popolazione più debole dal punto di vista economico.
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