Dopo il dibattito, fin troppo lungo, sulla costruzione delle alleanze si spera sia finalmente arrivato il momento di discutere di come riformare il paese. La crescita economica è in stallo da più di venticinque anni e le opportunità sono sempre meno, soprattutto per i più giovani. Alcuni numeri per capire meglio la tragica condizione di una generazione e per prepararsi all’ennesima fuga dalle urne di chi non è mai stato così poco ascoltato
Povertà
I dati sulla povertà assoluta (intesa come l’incapacità di sostenere spese minime) indicano un peggioramento generalizzato della situazione dell’intero paese: le persone in povertà assoluta sono passate da 1,9 milioni nel 2005 a oltre 5 milioni nel 2021. Ma sono i più giovani a registrare la maggiore incidenza. Come si nota dal grafico, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge circa il 15 per cento fra chi ha 17 anni e oltre l’11 per cento fra chi ha 18-34 anni. Resta poco sopra il 5 per cento invece per i più anziani (65 anni e più). Si sono verificati due eventi negli ultimi anni. Innanzitutto, se nel 2005 erano gli anziani la fascia di età a trovarsi più spesso in una situazione di povertà assoluta, oggi è l’opposto: al diminuire dell’età, aumenta l’incidenza della povertà assoluta. Inoltre la distanza fra le varie classi di età è via via aumentata nel corso degli ultimi anni: se nel 2011 tutte le classi registravano un’incidenza della povertà intorno al 5 per cento, nel 2021 la differenza fra la classe più colpita e quella meno colpita è di quasi 10 punti percentuali.
Retribuzioni
Analisi dell’Ocse hanno dimostrato che negli ultimi 30 anni i salari reali medi degli italiani sono diminuiti del 3,6 per cento. I giovani sono però quelli che stanno pagando di più questo calo. Secondo stime dell'Inps, fatta 100 la media dei redditi sulla popolazione in ogni anno, i redditi dei giovani si sono ridotti a tal punto che il numero indice passa da 76 nel 1975 a 51 nel 2019. La caduta è solo in parte attribuibile all’aumento del tempo passato in percorsi di studi e formazione.
È una dinamica questa che ha fatto sì che negli ultimi anni fosse sempre più evidente nei dati statistici la cosiddetta povertà lavorativa (in sintesi, trovarsi in una situazione di povertà, nonostante si abbia un lavoro). Secondo gli ultimi dati disponibili si è registrato nel tempo un aumento dell’incidenza dei dipendenti con bassa paga: il valore è passato dal 9,5 per cento del 2019 al 10,1 per cento del 2020, con punte massime fra chi ha 15-24 anni (quasi il 30 per cento) e 25-34 anni (13,5 per cento).
Indipendenza
In Unione europea l’età media in cui un ragazzo o una ragazza lasciano casa dei propri genitori è 26 anni circa. Croazia, Slovacchia, Italia e Malta registrano l’età media più alta. In Italia per esempio è oltre i 30 anni. Circa il 70 per cento dei ventenni nel nostro paese vive ancora coi genitori. Il ritardo nell’uscire di casa e rendersi indipendenti è dovuto a condizioni economiche che rendono difficile il mercato del lavoro per i giovani italiani.
Né studio né lavoro né formazione
Sono oltre il 23 per cento i giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano in Italia (Neet). Circa tre milioni di ragazze e ragazzi fra i 15 e i 29 anni. Il dato più alto tra i paesi europei e 4,2 volte più grande di quello registrato nei Paesi Bassi (il minimo in Europa). Dopo l’Italia vengono la Romania (20,3 per cento), la Serbia (18,8 per cento) e la Bulgaria (17,6 per cento). Osservando la differenza territoriale, nelle regioni del sud Italia la percentuale di Neet sfiora il 30 per cento.
Educazione
In Italia il 28 per cento della popolazione che ha fra i 25 e i 34 anni possiede un titolo di studio terziario (laurea triennale o magistrale). Un numero assai basso se messo a confronto con gli altri paesi a noi più simili. La media europea è del 44 per cento: in Francia e Spagna è quasi il 50 per cento, in Germania il 35 per cento. Il dato italiano è dovuto a diversi fattori della nostra economia, ma la mancanza di percorsi terziari professionalizzanti è sicuramente un motivo importante.
Il dato è però legato anche a quel concetto economico conosciuto in inglese come «low-skill, bad-job trap». In paesi in cui gran parte della forza lavoro non è qualificata, le aziende sono poco incentivate a fornire buoni posti di lavoro (che richiedono quindi competenze elevate e forniscono salari elevati). Dall’altro lato, se sono disponibili pochi buoni posti di lavoro, i lavoratori sono poco incentivati ad acquisire competenze.
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