Si dicono non soddisfatti la maggioranza dei ceti popolari e buona parte delle donne. Le imprese devono considerare che il profilo dei lavoratori è mutato. Non sono più meri prestatori d’opera, dei venditori della forza-lavoro, ma sono soggetti molteplici
Pressioni, bassi stipendi, scarse gratificazioni, mancanza di crescita, tensioni con colleghi e capi, tutti fattori che, giorno dopo giorno, rendono faticosa la vita lavorativa, facendo crescere l’ansia, generando insoddisfazione esistenziale e abbassando la motivazione. Complessivamente quasi un terzo dei lavoratori dipendenti italiani si dice insoddisfatto del lavoro, ovvero quasi 7 milioni e 500 mila persone su 24 milioni e 900 mila.
A essere maggiormente inappagati sono persone che appartengono al ceto popolare (55 per cento) e le donne (32), mentre nel ceto medio i tassi di delusione scendono al 17 per cento (dati novembre 2024 su un campione di 800 italiani). Per il 33 per cento delle persone il lavoro, inoltre, risulta noioso, stressante o un peso. Un dato che vola al 48 tra le persone del ceto popolare e al 36 tra le donne, mentre nel ceto medio scende al 18 per cento. Altro elemento di forte disagio è la difficoltà a conciliare la vita privata e familiare con il lavoro (26 per cento tra le donne e 52 nei ceti popolari).
Le ragioni
Una delle principali fonti di insoddisfazione verso la propria occupazione è la staticità professionale e la mancanza di opportunità di crescita. Un tema avvertito dal 56 per cento delle donne contro il 46 degli uomini; dal 74 dei ceti popolari contro il 33 del ceto medio.
Il livello di insoddisfazione verso gli stipendi, invece, coinvolge il 37 per cento dei lavoratori (21 nel ceto medio contro il 65 nei ceti popolari). I rapporti con capi e colleghi sono un ulteriore fattore di disagio. Ad avere maggiori problemi con i capi sono le donne (29 rispetto al 20 degli uomini) e i ceti popolari (35 contro il 16 dei ceti medi).
Le relazioni fra pari vanno leggermente meglio per l’universo femminile (25 per cento prova disagio), mentre nei ceti popolari il disagio sale al 39 per cento (16 nel ceto medio). Per completare il quadro contemporaneo è utile osservare anche i fattori che spingono alla ricerca di un nuovo posto di lavoro. Al primo posto c’è il tema dell’appagamento. Il 30 per cento delle persone è alla ricerca di un lavoro che offra maggiori gratificazioni (42 nei ceti bassi e 32 tra le donne).
La ricerca di significato
Un dato che sottolinea quanto il lavoro non sia solo ciò che facciamo per vivere; ma sia soprattutto ciò che facciamo con le nostre vite. La ricerca di un lavoro significativo è una delle grandi sfide esistenziali del nostro tempo. Non a caso, al secondo posto, c’è il bisogno di trovare un luogo di lavoro che offra compiti stimolanti (12 nel ceto medio e 11 tra le donne), mentre al terzo posto c’è la ricerca di un’occupazione che garantisca un maggior equilibrio tra vita e lavoro (11 per cento tra le donne e nei ceti popolari).
Il senso del lavoro è in costante evoluzione. Nella società liquida, come dice Bauman, le persone cercano ininterrottamente di reinventarsi e migliorarsi. Il lavoro non è più solo un mezzo per guadagnarsi da vivere, ma diventa un’espressione di sé e una ricerca di valorizzazione personale. Le imprese devono considerare che il profilo dei lavoratori è mutato.
Non sono più meri prestatori d’opera, dei venditori della forza-lavoro, ma sono soggetti molteplici: individui equilibrati (cercano un buon bilanciamento tra vita professionale e personale); persone orientate alla crescita (interessati a sviluppare le competenze e a progredire nella carriera); collaboratori di valore (leali e impegnati verso aziende che si occupano del loro benessere); professionisti resilienti e consapevoli (cercano ambienti in cui il benessere occupazionale li renda più resistenti allo stress e alle sfide professionali, con la coscienza che un ambiente di lavoro sano migliora la produttività); lavoratori proattivi (amano prendere l’iniziativa per contribuire alla cultura aziendale); soggetti consapevoli del proprio valore (cercano ambienti che li apprezzino adeguatamente); innovatori potenziali (propensi a essere attivi e a suggerire nuove idee); lavoratori motivati (cercano situazioni che li spingano a dare il meglio di sé).
Il desiderio di eccellere e di essere riconosciuti per le proprie capacità è diventato uno dei motori della vita lavorativa. Le persone aspirano ad aziende che permettano alle persone di sviluppare e dimostrare le proprie competenze.
Oggi le donne e gli uomini sono sempre più degli imprenditori di sé stessi, alla ricerca di opportunità per ottimizzare le proprie performance e il proprio potenziale. Per le aziende tutto questo si traduce in una sfida sintetizzabile in uno slogan: «Coltiva il potenziale, raccogli il successo». Un’azienda cresce, se crescono i suoi dipendenti (e non solo i profitti).
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