Donald Trump ha battezzato la giornata di domani, due aprile, “Liberation Day”. Il fatidico giorno della liberazione dalle importazioni e l’inizio di un chiaro ritorno al protezionismo per gli Stati Uniti, come ha detto il numero uno di BlackRock, Larry Fink, agli azionisti. Il tutto puntellato da dazi reciproci, «destinati a qualsiasi paese che la Casa Bianca ritenga abbia una relazione commerciale ingiusta con gli Stati Uniti», ha detto il presidente Trump. Dazi che si attesteranno al 20 per cento per tutti, oltre a un sovrapprezzo del 25 per cento sulle importazioni di automobili.

L’instabilità

Il tycoon ci ha abituati a svolte dell’ultim’ora, quindi la situazione resta fluida, ma intanto i mercati di tutto al mondo si apparecchiano al 2 aprile come ci si preparerebbe a una tempesta impetuosa, manifestando in modo esplicito il panico di dover continuare a viaggiare a visibilità zero. L’oro, infatti, bene rifugio per eccellenza, segna un altro nuovo record a 3.150 dollari l’oncia, mentre i rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi sono diminuiti, a dimostrazione del fatto che gli investitori sono poco fiduciosi e cercano asset più sicuri su cui investire.

«È molto più l’incertezza complessiva che pesa sul sentiment degli investitori, per non parlare degli annunci sui dazi che continuano a cambiare, ma restano uguali nell’effetto negativo che hanno sulla crescita globale», ha commentato Charles De Boissezon, responsabile globale della strategia azionaria di Société Générale.

Borsa in caduta

Certamente, l’incertezza regna sovrana, ma l’ipotesi di una concreta introduzione di dazi erga omnes ha terrorizzato per davvero le Borse di tutto il mondo. Da Tokyo, che lunedì 31 marzo ha chiuso la seduta a meno 3,84 per cento, il livello più basso da metà settembre, alle piazze europee che hanno terminato in rosso – Milano, la più negativa, ha chiuso a meno 1,8, seguita da crolli analoghi di Parigi e Francoforte – tutte in scia ai futures americani che già prima dell’apertura del mercato finanziario di New York presagivano una giornata nera, l’ennesima a chiusura del peggior trimestre dal 2022 per le azioni statunitensi. Tutto per via dei presagi di guerra commerciale, annunciati a più riprese dal presidente Donald Trump, che a seconda della giornata se la prende con la Russia, e minaccia dazi al petrolio di Mosca se non si deciderà a trovare un accordo sull’Ucraina, oppure con l’Asia, rea di non trattare «equamente» gli Stati Uniti. E chissà se, alla luce della crisi delle uova che ha colpito gli States, il tycoon porrà il dazio al 20 per cento anche sull’ingrediente base dei pancake. Al di là di questa spigolatura grottesca, la verità è che tutti i paesi sono nel mirino di Trump. Italia compresa.

Con buona pace dell’equilibrismo della premier Giorgia Meloni, che nell’intervista di settimana scorsa al Financial Times diceva di comprendere la politica economica trumpiana. Forse la comprendono meno quei settori economici – dall’automotive al vino, passando per tessile e chimica – che saranno colpiti dai dazi e, in un certo senso, lo sono già. Per timore dell’imminente introduzione delle gabelle a stelle e strisce, c’è stata una rincorsa alla spedizione, congestionando il settore logistico che, come risposta, ha aumentato i costi.

Anche l’Italia nel mirino

Dunque, anche l’Italia sta nella tempesta scatenata da Trump e paga le conseguenze dell’incertezza. Oltre agli indici poco brillanti della Borsa di Milano, oltre all’inflazione che ieri è tornata a rialzare la testa – più 0,4 per cento a marzo, più 2 per cento su base annua – ieri mattina il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, in occasione dell’assemblea annuale di Bankitalia ha confermato che «l’incertezza a livello globale resta elevata, alimentata dalle persistenti tensioni geopolitiche e commerciali. L’economia europea, già segnata dalla stagnazione del settore manifatturiero, risente in modo particolare di queste dinamiche a causa della sua forte esposizione al commercio estero».

Panetta e l’inflazione

Da qui i dubbi rispetto al futuro, dove si addensa il rischio della stagflazione, ovvero la stagnazione dell’economia per via della scarsa vivacità della manifattura, ma anche l’inflazione alimentata dall’introduzione dei dazi di Trump, cui seguirebbero le contromisure, fra gli altri, dell’Europa, provocando un generico aumento dei prezzi, ovvero l’inflazione. A tal proposito Panetta ha detto che «la lotta all’inflazione non può ancora dirsi conclusa».

Ci sono due fattori da bilanciare, da un lato la debolezza dell’economia europea, dall’altro «l’aumento dell’incertezza, dovuto soprattutto agli annunci, talora contraddittori, sulle politiche commerciali degli Stati Uniti», e proprio quest’ultima impone cautela nel percorso di diminuzione dei tassi ufficiali. E speriamo che, per quanto riguarda i conti di Bankitalia, si torni a vedere il sereno perché, come ha spiegato il governatore, l’istituto ha chiuso il 2024 con una perdita lorda di 7,3 miliardi a causa del rialzo dei tassi degli anni scorsi, ma il bilancio chiude con un utile netto di esercizio di 844 milioni, dopo l’uso del fondo rischi.

Sul 2025 Panetta punta a un ritorno all’utile. Tuttavia sull’andamento generale di quest’anno pesa, per l’appunto, la stagflazione. Come aveva già annunciato la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, dunque, la serie di riduzione dei tassi potrebbe presto interrompersi, a fronte di un rinvigorimento dell’inflazione, provocata dall’incertezza e dai timori sull’entrata in vigore dei dazi. Ed è la stessa interpretazione che ha dato, non meno di due settimane fa, il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, in occasione dell’ultima conferenza stampa, dopo la decisione di lasciare invariati i tassi di interesse. Ha detto: «L’incertezza è aumentata e l’inflazione ha iniziato a salire. Pensiamo che sia in parte una risposta ai dazi».

Trump non l’ha presa benissimo, perché lui, un po’ come tutti i politici, vorrebbe un ulteriore abbassamento dei tassi per dare fiato all’economia. Ma il compito delle banche centrali è quello di mantenere i prezzi stabili, non di accontentare la politica. E in tutta questa incertezza, come dice l’analista di Goldman Sachs la notizia peggiore è che «non si intravede la fine».

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