Il ministro dell’Ambiente ha detto che entro il 2045 l’Italia potrà avere la fusione. Ma non è vero. La svolta spacca FdI. Rampelli: «I cittadini non si fidano ancora dell’energia atomica»
Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha detto che l’Italia potrà avere l’energia da fusione nucleare nel 2045. Una data non sparata a caso: «Se nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, il Pniec, avessi scritto che il nucleare sarebbe arrivato nel 2050, non ci sarei potuto essere». Allora ha scritto 2045.
Giovedì mattina si è svolto un convegno organizzato a Roma da Ecr, il gruppo Conservatori e riformisti europei, con presenti Fratin, l’europarlamentare in quota FdI Nicola Procaccini, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (FdI), e il professore di fisica Piero Martin. Un evento incredibile, dal quale sono emerse due cose. Uno: il ddl Nucleare, che a breve approderà al parlamento per il disegno di legge delega, è privo di certezze, non si sa quanto costerà agli italiani, e neppure le tempistiche.
Due: il tema dell’atomo spacca il partito di maggioranza, con Rampelli che ha fatto notare come fusione nucleare e mini reattori a fissione hanno tempi incerti e, al momento, non esiste granché di tangibile. Meglio puntare sull’idroelettrico, dice Rampelli. Per Procaccini, in attesa del nucleare, meglio affidarsi al gas. Molte idee, molto confuse, molto diverse.
Ma torniamo alle evidenze scientifiche che hanno portato al ddl Nucleare.
Lo studio
Nei giorni scorsi, a supporto della creazione di mini reattori nucleari e del relativo ddl, è circolato un rapporto di EY dal titolo “Nucleare Italia: il punto della situazione” che ha quale principale fonte un altro report, realizzato a settembre dallo Studio Ambrosetti in partnership con Edison e Ansaldo Nucleare, ovvero due aziende che stanno lavorando allo sviluppo di Nuward, un nuovo reattore modulare (smr) sviluppato da Edf, la maggior azienda produttrice di energia francese. La tecnologia in questione è quella convenzionale, cioè reattori ad acqua pressurizzata, la stessa bocciata dal referendum 2011. Ma quali sono i dati alla base del ddl Nucleare?
Dati introvabili
Andiamo con ordine. Il 5 settembre 2023 il ministro Pichetto lancia la Piattaforma nazionale per il nucleare sostenibile. Ad aprile 2024 il ministro annuncia che la piattaforma ha finito la prima fase di lavori e si appresta a presentare una strategia nazionale che entrerà nel Pniec. A luglio il governo invia a Bruxelles il Pniec aggiornato, che introduce il ricorso al nucleare giustificato dalla «letteratura scientifica internazionale».
A settembre 2024 si tiene la prima riunione della Piattaforma per il nucleare. A ottobre, in un’audizione alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, il ministro dice: «Entro fine mese avremo i risultati della Piattaforma nazionale per l’energia nucleare sostenibile». Dati che, a oggi, non sono stati pubblicati. A tal proposito Greenpeace Italia scrive: «Abbiamo un ddl, ma, nonostante una richiesta di accesso agli atti fatta il 20 gennaio, non si riesce a sapere su quali numeri il Mase abbia basato i suoi scenari atomici. Le stime sui costi, attese per ottobre, non sono mai arrivate». Eppure nel Pniec, presentato a luglio, si legge che «partendo dai dati ricavati dalla piattaforma nazionale per il nucleare sostenibile sono state effettuate delle ipotesi di scenario a lungo termine (2035 al 2050) contenenti una quota da energia nucleare».
Ma, se la piattaforma si è riunita per la prima volta il 21 settembre 2024, come ha potuto fornire questi dati per la definizione del Pniec, inviato a luglio alla Commissione? Giovedì il ministro Fratin ha provato a spiegarsi meglio: «Senza fare Frate indovino, raccogliendo varie informazioni, da inizio del prossimo decennio possiamo vedere i piccoli reattori» in funzione. E poi: «Io non sono un mago, e non è oggi il tema di dire quanto mi costa lo strumento e quanto mi costa l’energia». Eppure nello stesso evento il ministro ha dichiarato a proposito dei piccoli reattori che porteranno «a un abbattimento del 30-40 per cento» della bolletta energetica.
A proposito della fusione, il ministro ha detto: «Io ho messo una data nel Pniec sorridendo. Mi dicevano “dopo il 2050”, ma allora ho messo il 2045 perché voglio esserci. Questa è la motivazione scientifica del 2045». A chiarire il pensiero del ministro ci ha pensato Procaccini: «Medio periodo fissione, lungo periodo la fusione, nel breve gas». Il cui prezzo pesa sul portafogli di imprese e cittadini, nonostante la mancetta di Stato da 2,8 miliardi di euro spalmata sui prossimi tre mesi, sperando che, da giugno il mondo cambi. Lo scienziato Piero Martin ha confermato che al momento non è possibile trarre energia dai micro reattori, né dalla fusione.
Rampelli-pensiero
A rimettere tutti con i piedi per terra ci ha pensato il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, che ha detto: «Le resistenze esistono, e i cittadini non sono rassicurati da queste tecnologie. Non è all’ordine del giorno la riapertura delle centrali tradizionali. Quando ci saranno nuove tecnologie ne prenderemo atto e ci auguriamo che possano essere accolti dalla nostra comunità, dopo due quesiti referendari che sappiamo».
Per poi chiudere dicendo: «La domanda di energia è oggi, a noi spetta la concretezza: dobbiamo rispondere oggi, beato chi ci arriva al 2045 in queste condizioni. Perché la fusione almeno si capisce cos’è, i micro reattori no». In tutto questo, lo scorso 13 dicembre, il consiglio regionale veneto, a trazione leghista, con voto unanime, ha respinto l’ipotesi di localizzare un reattore nucleare, seppur di piccole dimensioni, a Porto Marghera. All’orizzonte nessuna criticità.
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