I sindacati dei 10mila dipendenti Rai, compreso l’Ugl, hanno proclamato la mobilitazione per la situazione della tv di stato che ha 650 milioni di debito in crescita e che, senza canone in bolletta, che il governo ha promesso di eliminare, rischia il colpo di grazia
I diecimila dipendenti Rai si preparano al primo sciopero generale da quasi dieci anni. La causa immediata del conflitto è la mancanza di confronto su questioni quotidiane e i mancati accordi sul lavoro agile, ma la ragione principale della mobilitazione è lo stato finanziario sempre più precario della società, che ha accumulato oltre 650 milioni di euro di debito, e la mancanza di qualsiasi piano industriale.
«La Rai è un’azienda con problemi atavici e viene considerata dal suo maggior azionista solo e soltanto come terreno di caccia alle poltrone, fingendo che non sia una azienda vera e anche complicata», dice Riccardo Saccone, della Scl-Cgil.
La minaccia di sciopero generale arriva proprio mentre il governo inizia a discutere il rinnovo dei vertici dell’azienda, una pratica usuale per quasi ogni esecutivo, che cambia dirigenti e direttori delle testate giornalistiche con figure più gradite, e mentre si discute di eliminare il canone in bolletta, che rischia di dare il colpo di grazie ai traballanti conti dell’azienda.
La mobilitazione
L’ultimo sciopero generale in Rai è avvenuto nel dicembre 2014, contro il prelievo di 150 milioni all’azienda deciso dall’allora governo Renzi. All’epoca soltanto la Cisl si era sfilata dalla contestazione.
Alla proclamazione della mobilitazione di questi giorni e alle procedure di raffreddamento e conciliazione, obbligatorie in quanto la Rai è considerata servizio essenziale, hanno aderito tutte le principali sigle sindacali: Cgil, Cisl e Uil, oltre a Snater e Confsal. Anche l’Ugl, sindacato vicino a Fratelli d’Italia e Lega, appoggia la mobilitazione.
Simili preoccupazioni sono state espresse anche dai rappresentanti sindacali dei circa 2mila giornalisti Rai, che lo scorso 9 marzo si sono riuniti in assemblea. «Condivido le preoccupazioni espresse sul futuro della Rai. Sono certo ci sarà occasione al più presto per incontrare gli altri rappresentanti sindacali», dice Daniele Macheda, segretario dell’Usigrai.
Con un debito che si avvia verso i 650 milioni di euro e il rischio di perdere una grossa fetta delle entrate se il canone sarà tolto dalla bolletta, come annunciato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, la Rai sta passando uno dei momenti più difficili della sua storia recente.
Il debito è rimasto sotto controllo negli ultimi due anni, ma è dato di nuovi in crescita nel 2024. Nel frattempo le entrate sono destinate a ridursi, soprattutto se il governo manterrà le sue promesse sul canone.
Introdotto nel 2015, il canone in bolletta ha ridotto l’evasione dal 27 al cinque per cento e ha portato a un aumento del gettito pari a un terzo. Con circa 1,8 miliardi di euro, il canone rappresenta il 70 per cento dei ricavi della Rai (ed è anche uno dei più bassi in Europa, mentre le trattenute effettuate dallo stato sull’importo totale sono tra le più alte).
«Non è che siamo innamorato di questa soluzione – dice Saccone – ma siamo innamorati dell’idea di abbattere l’evasione fiscale. Se torniamo ai livelli precedenti di evasione, la tenuta dell’azienda è in dubbio».
Nel frattempo la Rai è da oltre un decennio senza un piano industriale. I sindacati accusano una totale mancanza di strategia da parte di tutti gli ultimi governi, con operazioni di breve respiro volte soltanto a portare i conti in pareggio alla fine dell’anno.
Tra queste operazioni, una delle più controverse è l’ipotesi di riduzione di quote in Rai Way, la società che si occupa dell’infrastruttura di trasmissione della televisione di stato. «Come nel caso delle vendita delle partecipazioni nelle altre infrastrutture della telecomunicazioni, questa operazione assomiglia più alla vendita dei gioielli di famiglia che a un piano industriale», dice Saccone.
Rinnovo dei vertici
Al momento il governo sembra concentrato soprattutto sul rinnovo dei vertici dell’azienda e delle direzioni dell’informazione. Un momento chiave dovrebbe essere il prossimo 15 aprile, quando scadrà l’attuale amministratore delegato Carlo Fuortes.
Nominato nel luglio del 2021 durante il governo Draghi, Fuortes ha ereditato una Rai i cui debiti erano cresciuti in tre anni da 300 a oltre 600 milioni. Per raggiungere il pareggio di bilancio ed evitare il peggioramento dei conti, Fuortes ha adottato una strategia di «tremendi tagli», come li ha definiti lui stesso che hanno incontrato l’opposizione dei sindacati.
«Siamo fortemente preoccupati per il futuro della Rai: unica partecipata dello stato che da dieci anni non ha un piano industriale», dice Danilo Leonardi, dell’Ugl, il sindacato vicino alla destra. Ma Leonardi punta il dito anche contro un altro aspetto. «C’è anche un problema di natura editoriale: il servizio pubblico è tale se parla a tutte le aree culturali e la Rai si sta dimostrando da tempo un servizio pubblico sempre meno pluralista».
Leonardi dice di riferisi a episodi come il recente festival di Sanremo. «Non tutti si sono ritrovati nelle forzature fatte da Fedez, nella sceneggiata di Blanco con i fiori, in alcuni monologhi fino alla famosa scenetta della sodomia simulata».
Sono temi, quelli editoriali, certamente più graditi a tutti i governi rispetto a questioni complicate e senza una facile soluzione come la presentazione di piani industriali o l’adeguamento del canone agli standard europei. Ma senza una direzione chiara e la garanzia delle entrate del canone, partiti e governi avranno poco su cui dire la loro.
© Riproduzione riservata