- Il numero di famiglie in condizione di debolezza ha toccato il picco nel 2020 passando da 7,4 milioni a 8,3 milioni, mentre ha registrato un calo quest’anno, un andamento uguale e contrario a quello registrato nella fascia del benessere che quest’anno è tornata a crescere.
- Nel 2021 il numero di famiglie che è in condizione di autosufficienza è per la prima volta uguale a quelle appartenenti al livello medio.
- Il risultato è che oggi le famiglie in condizioni di debolezza sono oltre un milione in più rispetto a quelle mediane, il 28,8 per cento dei nuclei contro il 23,9
Quali sono i parametri da prendere in considerazione per misurare la disuguaglianza? La risposta è tutt’altro che scontata, gli indicatori per valutare il benessere o il malessere di un nucleo famigliare possono essere diversi e la dichiarazione dei redditi non basta.
Il rapporto Cerved sul welfare famigliare pubblicato questa settimana ha il pregio di prendere in considerazione diversi parametri per cercare di capire come le famiglie italiane abbiano affrontato la crisi economica pandemica.
Intanto utilizza l’indicatore Isee, combinando il reddito con la composizione famigliare e con la ricchezza immobiliare, un fattore rilevante a maggiore ragione durante la pandemia. Il 18,8 per cento delle famiglie italiane, infatti, non ha una casa di proprietà, il 63,3 per cento ha una casa di proprietà e mentre il 17,9 per cento ne ha più di una.
Sulla base di questi criteri il Cerved ha profilato cinque fasce di benessere relativo delle famiglie italiane: debolezza, autosufficienza, livello medio, benessere e agiatezza. E ha analizzato cosa è successo a queste “classi” negli ultimi quattro anni.
Famiglie deboli
Il numero di famiglie in condizione di debolezza ha toccato il picco nel 2020 passando da 7,4 milioni a 8,3 milioni, mentre ha registrato un calo quest’anno, un andamento uguale e contrario a quello registrato nella fascia del benessere che quest’anno è tornata a crescere.
La crisi ha, però, lasciato un segno profondo negli equilibri tra queste fasce: nel 2021 il numero di famiglie che è in condizione di autosufficienza è per la prima volta uguale a quelle appartenenti al livello medio. Le prime sono cresciute da 5,7 a 6,1 milioni, il numero delle seconde invece è sceso da 6,3 a 6,1.
La fascia in condizione di autosufficienza è anche quella che ha registrato il maggiore cambiamento negli ultimi quattro anni: si è gonfiata dai 4,5 milioni del 2018 fino a superare i sei milioni e lo ha fatto soprattutto a discapito del livello medio.
Il risultato è che oggi le famiglie in condizioni di debolezza sono oltre un milione in più rispetto a quelle mediane, il 28,8 per cento dei nuclei contro il 23,9. Le professioni sono rappresentate in maniera variegata nelle fasce di benessere, ma certamente gli autonomi hanno aumentato la loro presenza tra le famiglie deboli, mentre per gli imprenditori, a fianco di un travaso dalla fascia del benessere al livello medio, si è ingrossata la fascia dell’agiatezza.
La “qualità” delle famiglie
C’è poi la percezione dell’impatto della crisi sui redditi: a novembre 2021 oltre il 41 per cento sostiene che l’impatto sia stato limitato, il 58,7 che sia stato negativo e una minoranza del 9,7 che sia stato drammatico.
La risposta a questa domanda varia molto a seconda della composizione “qualitativa” della famiglia: sono le famiglie monogenitoriali con figli quelle tra cui si registra l’impatto negativo maggiore mentre all’estremo opposto ci sono le coppie conviventi senza figli, a metà della scala si trovano i single o i separati divorziati, le coppie con figli minori sono più vicine al massimo negativo, mentre quelle con figli adulti al polo più positivo.
Che tipo di welfare?
I sussidi messi in campo dallo stato durante la crisi hanno aiutato a mantenere una certa stabilità: il rapporto tra il reddito medio netto delle famiglie più ricche, pari al 6,6 per cento del totale, e quello delle famiglie più povere – che invece sono il 28,8 – resta di cinque a uno.
Tuttavia il rapporto mette anche in evidenza i limiti del nostro sistema. Il welfare italiano è per tre quarti fatto di assegni pensionistici: per la maggior parte di assegni di pensioni di vecchiaia e anzianità. Poi vengono i sussidi statali e infine gli ammortizzatori sociali.
Questo ha almeno due conseguenze: le pensioni hanno una funzione ridistributiva informale nel nostro paese, ma è una funzione in qualche modo casuale che non dipende dalla situazione della famiglia su cui le pensioni vanno a impattare. E quando si parla di una riforma delle pensioni questa andrebbe anche accompagnata a una riforma del welfare.
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