Nelle regioni del sud si spende troppo poco in sanità e non sono garantite le prestazioni minime. La speranza di vita è più bassa e un esercito di malati va al nord per curarsi. I dati dell’ultimo rapporto Svimez, che lancia l’allarme sulla riforma Calderoli: l’autonomia dividerà l’Italia e aumenterà le disuguaglianze
Al sud i servizi di prevenzione sono più carenti, minore è la spesa sanitaria, più lunghe le distanze per ricevere assistenza. E l’autonomia differenziata finirà per ampliare le disuguaglianze nel settore della sanità. Non usa mezze misure il rapporto “Un paese, due cure”, realizzato dalla Svimez in collaborazione con Save the Children: il divario tra nord e sud c’è e con il progetto di autonomia del governo non farà che aumentare.
In un’analisi ricca di dati, l’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno dice che l’aumento della spesa sanitaria dovrebbe essere una priorità nazionale e che andrebbe corretto il meccanismo con cui sono ripartite le risorse del fondo sanitario nazione, in modo da tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a elevato disagio socioeconomico.
Un divario incolmabile
Dopo l’emergenza Covid, i divari territoriali sono cresciuti in un contesto di generalizzata debolezza del sistema sanitario. Nel confronto europeo, la sanità italiana risulta sottodimensionata per stanziamenti di risorse pubbliche – in media il 6,6 per cento del Pil contro il 9,4 della Germania e l’8,9 della Francia – a fronte di un contributo privato comparativamente elevato (è quasi il doppio degli altri due paesi).
Dai dati regionalizzati emergono livelli di spesa per abitante più contenuti nelle regioni del sud: a fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro) e Basilicata (1.941 euro). Il monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza, che offre un quadro delle differenze nella qualità delle prestazioni fornite, mostra che cinque regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti.
I migranti sanitari
«Tutto ciò si traduce in minori aspettative di vita al sud e più alti tassi di mortalità per le patologie gravi», dice Luca Bianchi, direttore generale della Svimez. Le differenze tra regioni sono marcate e crescono con il passare del tempo: «Nel 2022 la speranza di vita per i cittadini meridionali è di 81,7 anni, un anno e mezzo in meno del centro e del nord-ovest. E il tasso di mortalità per tumore, tra le donne, è dell’8,2 ogni 10mila abitanti rispetto al 7 del nord. Nel 2010 i due dati erano allineati».
Il report rivela anche la “grande fuga” dal sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del centro e del nord Italia. Sempre nel 2022, 12.401 malati oncologici (pari al 22 per cento dei pazienti totali) si sono spostati per ottenere cure in una regione del nord; solo 811 pazienti del centro-nord hanno fatto il viaggio inverso. «La scelta di emigrare per curarsi, oltre ai costi individuali, aumenta i divari nella capacità di spesa dei diversi sistemi regionali», nota ancora Bianchi.
L’autonomia differenziata
L’equità tra le regioni è poi messa a rischio dal progetto di autonomia differenziata. Il disegno di legge Calderoli, approvato in Senato e ora all’esame della Camera, prevede che si possa «dar corso ai negoziati per il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali alle regioni che ne facciano richiesta». Tra gli ambiti interessati c’è la gestione di medici e infermieri, la regolamentazione dell’attività libero-professionale (e quindi il rapporto con il privato) e l’accesso alle scuole di specializzazione.
Concedere forme di autonomia potrebbe migliorare le capacità di spesa nelle regioni del centro-nord, finanziate anche dall’eventuale extragettito derivante dalla maggior crescita economica. «Ma la riforma toglie allo stato le leve per redistribuire le risorse e porterà a un aumento della mobilità di cura. Si va verso un modello per cui al sud si andrà solo in vacanza e al nord per lavorare e curarsi», aggiunge Bianchi.
Una lettura condivisa da Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe: «Su 14 regioni adempienti ai Lea solo tre sono del sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e la fuga per curarsi al nord vale oltre 4 miliardi. Il ddl Calderoli legittimerà questa frattura strutturale, con il passaggio da un servizio sanitario a 21 sistemi regionali. In altri settori non so, ma è certo che per la salute l’autonomia non porterà benefici».
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