Da un pulmino Mercedes con targa straniera escono in piena notte nove donne, si trascinano le valige fino a un piccolo appartamento nel centro di Potenza. Ne usciranno solo per andare in altre case e sparire di nuovo. «Io vorrei uscire domani, almeno per un po’», implora E. intercettata dai carabinieri. «No tu sei pagata, tu sei pagata! Ti danno 900 euro, senza giorno libero», replica l’aguzzina. «Signora Valentina, se almeno potessi uscire una volta ogni due settimane...». «E allora sono 800! E alle due di pomeriggio dovresti tornare indietro, quindi che giorno libero sarebbe?».

Potenza, Europa. E. è una delle 87 donne che sono state trafficate da un’organizzazione moldava per lavorare in condizioni di sfruttamento come badanti. I minivan partivano dalla capitale della Moldavia, Chișinău. Nell’ambito dell’operazione “Women transfer”, lo scorso 4 settembre, sono state fermate 6 persone (5 di nazionalità moldava e un italiano) con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro.

«Certamente la pandemia è stata il motivo per il quale abbiamo scoperto 80 vittime e non 250», spiega il procuratore capo di Potenza Francesco Curcio, titolare dell’inchiesta che ha portato alla luce un fenomeno sommerso e finora sconosciuto. I carabinieri di Potenza, in collaborazione con il Comando carabinieri tutela del lavoro, hanno avviato indagini con appostamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, controlli alle frontiere, per scoprire un traffico internazionale di esseri umani a scopo di sfruttamento. Le indagini sono state rese più veloci grazie al coordinamento di Eurojust che ha messo in contatto le procure italiane e moldave.

Destinazione Italia

«È la prima volta che scopriamo un fenomeno di tratta finalizzato al lavoro domestico», dice Curcio, «rispetto al traffico di persone l’Italia è sia un paese di transito sia di destinazione in particolare per due settori: lo sfruttamento ai fini sessuali e prostituzione, che è il più investigato, e il caporalato in agricoltura. Ma per l’assistenza agli anziani è una prima volta e non sappiamo ancora quanto abbiamo intaccato il fenomeno, chissà cosa avviene in aeree dove l’arrivo di migranti è più consistente. Si tratta di fare indagini minuziose, di trattare il fenomeno come si tratterebbe la mafia o il terrorismo. È dispendioso ma ne va della dignità delle persone».

Il gruppo accusato di tratta delle badanti era guidato da una donna moldava, Valentina Duca, da suo figlio e da sua nuora. Il sistema parte da pagine Facebook che offrono trasporto tra Moldavia e Italia. La pagina di Duca era gestita dal figlio Mircea Axenti, sotto il nome di Mihail Bostan. Oltre alle notizie di viaggi tra Italia e Moldavia, e qualche post No vax, si potevano leggere, anche se più raramente, delle offerte dirette. «Offerta di lavoro con passaporto biometrico, come badante con uno stipendio fisso da 800 a 1.300 euro. 8 ore a settimana vitto e alloggio gratis». Nei commenti si chiede quanto sia la commissione («Commissione 300?»), perché il passaporto biometrico permette ai moldavi di viaggiare in Europa secondo l’accordo di libero scambio con la Moldavia del 2014, ma non permette di lavorare. Per questo era necessario pagare una “tassa” all’organizzazione.

La quarta ondata

È la signora Valentina, intercettata, a dettare le regole: per lavorare sei mesi si paga 550 euro, per lavorare un anno 1.100. «Ormai la migrazione moldava in Italia è consolidata – racconta Tatiana Nogailic, sociologa e referente di Assomoldova – siamo ormai alla quarta ondata, quelle che cadono nelle reti di queste “agenzie” sono in genere donne che vengono dalle campagne con il passaporto biometrico, che non parlano la lingua e non hanno nessuna rete in Italia. Di tanto in tanto sui gruppi Facebook dei moldavi in Italia c’è qualcuno che avverte di non andare con questa o quella agenzia».

«Il viaggio offerto dalla pagina Facebook di Mihail Bostan era chiaramente legato al lavoro in Italia – spiega il tenente Vincenzo Caputo del Comando carabinieri tutela del lavoro che ha seguito l’indagine – anche perché viaggiare con Mircea Axenti costava molto più di altri trasporti».

Il viaggio costava 500 euro e comprendeva il rilascio di documenti falsi, compreso il test Covid negativo per l’Italia ma anche un contratto di lavoro falso per la Polonia o per la Cecoslovacchia.

Le conversazioni intercettate sui pulmini sono molto significative. «Questi contratti di lavoro che vi ho dato non vi servono più quando usciamo dalla Polonia, quindi li butteremo via», dice Mircea Axenti alle passeggere, «se ci dovessero fermare in Italia con questi contratti ci mandano subito indietro. Quindi tutte quante me li date e io li distruggo».

I ricatti

Una volta arrivate in Italia le donne venivano collocate in un appartamento in centro a Potenza, fino a venti persone in un bilocale. Nelle testimonianze le donne raccontano di aver dovuto dormire per terra, nei giorni precedenti all’inserimento in una famiglia, pagando per l’alloggio 5 euro al giorno d’estate e 10 euro d’inverno. Per lavorare però servivano altri soldi, 300 euro per tre mesi o 550 per sei mesi. Valentina Duca aveva un libro mastro dove segnava i debiti e un posto dove custodiva i passaporti delle ragazze.

N. è appena arrivata in una famiglia nel potentino e il suo salario delle prime due settimane va dritto dritto a Valentina. N. avrebbe diritto a due giorni di riposo al mese, la famiglia teme che incontrando altre connazionali durante i giorni liberi possa prendere il Covid. Valentina la informa che, contrariamente a quanto pattuito con la famiglia, non avrà giorni liberi ma solo due ore al giorno di riposo. «Adesso, quando vuoi mandare i soldi a casa li dai a C. (il figlio dell’anziano curato da N.), li metti in una busta e mi dici a chi mandarli». «Ma come faccio a mandarli se non ho i documenti?». «Li mando io».

«Le donne erano chiaramente assoggettate al gruppo – spiega Caputo – con il trattenimento del passaporto erano fisicamente dipendenti da loro, e venivano spostate spesso di famiglia in famiglia sempre per renderle più dipendenti. Senza contare che, se la tangente pretesa per lavorare non veniva pagata con sufficiente puntualità, Mircea Axenti, il figlio di Valentina Duca, passava alle minacce dicendo loro che le avrebbe fatte prostituire e, in almeno un caso, abbiamo avuto una delle donne che è stata picchiata, medicata in casa per evitare l’ospedale e mandata subito a lavorare con la raccomandazione di nascondere l’ematoma con il trucco».

Lo stipendio era in ogni caso di 800 euro al mese, da cui venivano tolti i 100 euro da pagare all’agenzia e i debiti del viaggio, per orari che potevano arrivare a 16-17 ore al giorno. Spesso senza neanche un giorno libero. «La cosa preoccupante è scoprire come il contesto sociale in cui tutto questo avviene tutto sommato lo accetti», riflette Curcio, «se parliamo già di oltre 80 vittime vuol dire che molte famiglie di questa regione hanno ritenuto accettabile, per assistere i propri anziani, impiegare a queste condizioni donne provenienti da uno dei paesi più poveri d’Europa». «Uno stipendio medio in Moldavia è di 350 euro – racconta Tatiana Nogailic – e il 31 per cento del Pil dipende dalle rimesse degli emigrati».

Il lavoro domestico

Con l’avvio del procedimento penale le donne moldave trafficate da Valentina Duca sono state messe in condizioni di sicurezza, con un permesso di soggiorno temporaneo e tutte le protezioni del caso: interrogatori in video conferenza e nessun incontro neanche virtuale con i loro aguzzini.

Ma quanto è esteso il fenomeno? Sicuramente quello domestico è il settore in assoluto dove c’è più lavoro nero. L’associazione Domina, datori di lavoro in ambito domestico che gestiscono l’Osservatorio lavoro domestico, redige ogni anno un report. «Il lavoro domestico è uno dei lavori più a rischio di sfruttamento perché le mansioni richiedono competenze molto basse – spiega Lorenzo Gasparrini, segretario nazionale dei Domina – La forte apertura del mercato in ingresso e in uscita permette di collocare le persone a prescindere dalla loro modalità di ingresso sul territorio italiano, ad esempio. È anche per questo che il lavoro domestico ha una percentuale di informalità del 57 per cento, più del doppio dell'agricoltura». In Italia ci sono 920.000 persone impiegate regolarmente nelle famiglie (il 52,3 per cento colf e il 47,5 badanti), quindi secondo le stime di Domina almeno 1 milione e 100mila persone lavorano in nero, 500mila delle quali sono badanti.

Alina (nome di fantasia) lavora nel sud Italia, ha un contratto regolare e si trova bene nella famiglia dove lavora, ma si è trovata ad aiutare una connazionale che era finita in una rete simile a quella di Valentina Duca e che vorrebbe tornare in Moldavia. Purtroppo è senza passaporto. Alina è molto arrabbiata, racconta come stiano arrivando tantissime donne moldave in quelle condizioni: «Lavorano per 600 euro, costrette a dormire con l’anziano, senza giorni liberi». Lei già si è scontrata con il gruppo chiedendo diritti per l’amica ed è stata minacciata di morte. Oggi è abbastanza scoraggiata. «A chi mi rivolgo? I vigili urbani? Il sindaco? Ma tutti qui hanno i propri vecchietti accuditi da una donna che pagano seicento euro».

 

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