Il soffitto di cristallo è stato scalfito da singole donne, ma per la maggior parte è ancora intatto. Il gender pay gap è in media del 10 per cento e le donne in ruoli apicali sono un’esigua minoranza
Nelle metafore che riguardano il lavoro femminile, la preferita è quella del soffitto di cristallo. Rotto in alcuni casi. Senza crepe in altri. L’immagine, però, è quella sbagliata, perchè implica che basti una singola punta di diamante per aprire la strada e che tanto basti ad ammansire un genere, ancora troppo spesso percepito come inutilmente belligerante nel chiedere la parità.
Invece, «per le donne sarà un gran giorno quando una nomina come la mia non farà più notizia», ha risposto Margherita Cassano, prima donna a diventare prima presidente della Corte di cassazione nel 2023, a chi le chiedeva di tetti trasparenti sfondati. L’affermazione non è nuova e anzi è stata ripetuta da molte donne che hanno raggiunto cariche apicali nei loro settori professionali e sottintende una metafora ben diversa.
L’immagine esatta che fotografa le donne nelle professioni, infatti, è la piramide. Moltissime, oggi, ingrossano la base di chi accede. Ancora pochissime, ancora, arrivano al vertice.
Magistratura e medicina
E’ così in magistratura, a cui le donne hanno potuto avere accesso con un primo concorso e 8 promosse solo nel 1964. Il report del Csm del 2024 mostra come le donne in toga a marzo 2024 siano arrivate al 56 per cento del totale. La percentuale, però, si inverte quando si considera il genere dei magistrati che ricoprono incarichi direttivi a giuda delle procure, dei tribunali, delle corti d’appello, delle procure generali o della Cassazione: 29 per cento di donne contro il 71 per cento di uomini.
Eppure, negli anni, la tendenza si sta lentamente correggendo: negli incarichi semidirettivi, infatti, le donne sono arrivate quasi alla parità con il 46 per cento. L’ultimo passo verso la vetta, però, rimane ancora il più difficile. Lo stesso vale per le cariche elettive: nell’ultima consiliatura del Csm, le donne togate elette sono state 6 su 20. Il concorso pubblico grazie al quale si accede, infatti, garantisce una selezione equa in cui le donne risultano eccellere come e più degli uomini. Il contratto da dipendente pubblica, inoltre, garantisce alle magistrate il diritto al congedo di maternità retribuita, che aiuta a conciliare oneri di cura e lavoro ma non ripara dalle difficoltà imposte da un lavoro che comporta – per progredire a livello di carriera – trasferimenti in sedi diverse.
Dati non diversi riguardano anche la professione medica: secondo i dati Istat 2022, le donne sono il 45 per cento, ma tra i nuovi iscritti la prevalenza è femminile, con il 56 per cento. Eppure, 83 per cento dei primari è ancora maschio. Anche questo dato si sta lentamente correggendo, ma i progressi variano da una specialità all’altra, creando ulteriori gap.
Libere professioni
Uno scenario quasi identico a quello delle magistrate riguarda l’avvocatura. Secondo il rapporto Censis per Cassa forense del 2023, gli avvocati iscritti sono per il 47 per cento donne. La piramide, però, in questo caso si replica sia rispetto al reddito che alle rappresentanze istituzionali. Il Consiglio nazionale forense ha avuto una prima e per ora unica presidente donna in Maria Masi, in carica dal 2020 al 2023. Nella consiliatura in corso, tuttavia, le donne elette dai loro distretti sono 10 su 34 consiglieri.
La vera forbice riguarda però il reddito, che in una libera professione è l’elemento forse più indicativo: quello medio annuo di una avvocata è di 26.686 euro, per un avvocato è più del doppio, con 56.768 euro. Non a caso, in una fase in cui il dibattito interno parla di «proletarizzazione delle professioni», le più numerose a cancellarsi dall’albo sono donne. Nel 2022, a fronte di una quasi parità in ingresso, a rinunciare a fare l’avvocato sono state 5.873 donne, contro 2.825 uomini.
I dati sono simili in tutte le professioni, in cui il gender pay gap – il divario di genere rispetto al reddito rimane il vero muro infrangibile. Nonostante il numero di architette cresca ogni anno in modo esponenziale, con numeri di laureate italiane più alti rispetto alla media europea (nel 2020, erano il 34 per cento del totale) secondo i dati Cresme del 2020 gli architetti guadagnano il 57 per cento in più delle colleghe donne. E’ così anche per le commercialiste: sono circa il 32 per cento, ma nel 2018 il reddito medio è stato di 40.800 euro, contro i 75.000 euro dei colleghi.
Nulla cambia anche per i giornalisti. Secondo l’Agcom le donne sono il 42 per cento, ma Su 57 quotidiani nazionali e locali le direttrici, sono solamente due, pari al 3.5 per cento del totale. Quanto agli stipendi, tra i contrattualizzati le donne guadagnano in media il 18 in meno degli uomini (53.078 euro contro 64.770) e la percentuali si abbassa al 15 per centro nell’occupazione freelance, dove la retribuzione media è sensibilmente più bassa. Unica eccezione fanno le ingegnere, aumentate del 26 per cento dal 2016, e con un gender pay gap del 4 per cento, secondo il Centro studi dell’ordine nazionale degli ingegneri. Il dato, però, si è livellato con il tempo, perchè nel 2016 il reddito medio di una donna era di 18.000 euro, mentre per i colleghi maschi di oltre 30.000.
Il dato sul gender pay gap, tuttavia, è strutturale e non riguarda solo le professioni: le donne guadagnano in media il 10 per cento in meno dei colleghi uomini, dall'operaia alla dirigente, secondo l’indagine periodica Odm Consulting.
Sono questi i numeri sotto il tetto di cristallo che le singole punte della piramide hanno solo iniziato a scalfire con i loro successi. La strada è ancora lunga, però, perchè la piramide dei numeri diventi un parallelepipedo – anzi un mattone – da scaraventare in alto per rompere definitivamente quel soffitto trasparente che sembra non esserci e invece ancora blocca.
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