- La sanatoria dei lavoratori stranieri irregolari, annunciata un anno e mezzo fa dalla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, si è arenata nella burocrazia. Su 177 mila colf e badanti che hanno fatto domanda solo 43 mila hanno avuto finora risposta.
- La legge del governo Conte 2 (giallorosso) prometteva di regolarizzare 220 mila lavoratori stranieri tra badanti, colf e braccianti. Ma le prefetture, già alle prese con le carenze di personale, aggravano la situazione inventandosi ciascuna nuove regole.
- Uno dei sistemi per accelerare le pratiche è respingere le domande, ricacciando i lavoratori nella clandestinità. La ministra dell’Interno Lamorgese ha dato la colpa al Covid, la beffa è che la misura fu pensata proprio per il Covid, per dare a tutti i lavoratori gli stessi diritti sanitari.
La prima parte dell’inchiesta di Isabella De Silvestro sulla sanatoria
Gloria è una donna peruviana senza documenti che lavora come badante in un piccolo paese della provincia di Brescia. È passato più di un anno da quando ha avviato la procedura di emersione consentita dalla sanatoria varata tra le lacrime dal ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova all’inizio del 2020. La legge del governo Conte giallorosso prometteva di regolarizzare 220mila lavoratori stranieri tra badanti, colf e braccianti. Gloria non ha alcuna notizia sulla sua pratica ed è probabile che debba attendere ancora a lungo. Al 29 luglio scorso i regolarizzati nel settore domestico erano circa 43mila su 177mila domande, meno di un quarto.
Schiavi dell’attesa
La cosa più grave è che durante questa lunga attesa la famiglia che la impiega ha acquisito su di lei un potere assoluto: come molte altre lavoratrici straniere, Gloria è in balia di ricatti, minacce e violenze psicologiche del datore di lavoro che non esita a minacciarla di farle fallire la sanatoria. La donna è costretta in casa da un anno senza vedersi riconosciute ferie, malattie o giornate di riposo. Non può licenziarsi perché ha paura di vedersi negato il permesso di soggiorno. «Tengo duro, ma vivo prigioniera. Non appena avrò i documenti cercherò un altro lavoro», dice con un tono insieme tenace e rassegnato.
Non è un caso isolato. Molti sono i racconti di colf e badanti che dopo aver presentato la domanda di emersione sono state chiuse in casa o si sono viste ridotto preventivamente il salario in vista di un futuro contratto. A molte di loro i datori di lavoro hanno vietato di frequentare un corso di italiano, salvo poi usare la conoscenza stentata della lingua come pretesto per abbassare ulteriormente la paga. Altre raccontano di essersi infortunate sul lavoro e di essere state licenziate su due piedi perché ormai inservibili. Tutte azioni illegittime e sanzionabili, ma legittimate e non sanzionate perché colpiscono una categoria marginalizzata, spesso poco consapevole dei propri diritti e in molti casi priva di una qualsiasi rete di supporto o degli strumenti per far valere le proprie ragioni.
La prima parte dell’inchiesta di Isabella De Silvestro sulla sanatoria
«Quello del lavoro di cura è un settore particolare» spiega Giulia Capitani che si occupa di politiche migratorie per la fondazione Oxfam. Nell’ultimo anno si è occupata di monitorare l’andamento della sanatoria per la campagna Ero straniero, promossa dai Radicali italiani. «Quando il dipendente vive in casa del datore di lavoro e condivide gli spazi intimi della famiglia, subentra in alcuni casi una mentalità di stampo ottocentesco, quasi si sentisse di avere un servo a disposizione.
La sanatoria ha alimentato questo genere di meccanismi perché ha ulteriormente sbilanciato il rapporto di potere, mentre i ritardi della burocrazia gettano decine di migliaia di persone in un limbo di incertezza e ricattabilità». Se infatti una badante irregolare può almeno lasciare il posto di lavoro in cui viene maltrattata, chi ha avviato la pratica di emersione grazie alla garanzia del datore di lavoro sente di non potersi licenziare finché non ha ottenuto il permesso di soggiorno, per il quale in molti casi ha pagato il contributo forfettario di cinquecento euro che toccherebbe invece al datore di lavoro. Oltretutto non c’è alcuna garanzia che la pratica vada a buon fine.
I ritardi inaccettabili e i rigetti ingiustificati sono imputabili ai malfunzionamenti e agli arbìtri della pubblica amministrazione. Le prefetture, che dovrebbero occuparsi delle 220mila pratiche di emersione, sono da tempo sotto organico. La pandemia non ha fatto che aggravare una situazione già segnata dalle lungaggini burocratiche.
Quando a maggio 2020 è stata varata la sanatoria era già ben chiaro al ministero dell’Interno che si sarebbero dovuti assumere in tempi rapidi molti lavoratori interinali da distribuire nelle prefetture. Invece i primi interinali hanno iniziato a lavorare a marzo 2021 con un contratto di sei mesi che per 328 di loro è scaduto il 21 settembre e per gli altri 650 sta per scadere. Secondo le stime di Ero straniero, ai ritmi attuali le prefetture di Roma e Milano finiranno di esaminare le pratiche tra 25 anni. Il viceministro dell’Interno Matteo Mauri ha detto che gli interinali sono arrivati solo nel 2021 per un problema di risorse di bilancio.
La ministra Luciana Lamorgese, rispondendo a un’interrogazione parlamentare il 22 luglio scorso, ha dato la colpa alla pandemia. Solo che la sanatoria era stata pensata durante il primo lockdown, proprio per garantire a braccianti e badanti irregolari gli stessi diritti sanitari degli altri lavoratori. Secondo Lamorgese una misura pensata come risposta alla pandemia non è stata attuata per colpa della pandemia. I portavoce di Ero straniero sottolineano che peraltro si è scelto di fare didattica a distanza anche per i bambini delle elementari, e dunque si sarebbe potuta evitare la convocazione formale in prefettura per la procedura di emersione: in tempi normali si potevano convocare decine di persone alla volta, oggi non più di cinque o sei. E i ritardi crescono.
«Io ci vedo dell’accanimento», commenta Capitani, «non credo ci sia una volontà politica di far fallire la sanatoria. C’è però un atteggiamento arbitrario e pregiudiziale a livello intermedio, da parte di prefetture, questure, ispettorati territoriali del lavoro e aziende sanitarie. Spesso nei singoli uffici inventano di sana pianta procedure che ostacolano la regolarizzazione andando anche contro le circolari ministeriali. Un atteggiamento della burocrazia italiana uguale da anni nei riguardi delle persone immigrate».
Effettivamente, nella fase di verifica dei requisiti per il permesso di soggiorno, molti sono i casi di richieste illegittime e ostacoli ingiustificati. Uno dei requisiti per l’emersione è la presenza sul territorio italiano prima dell’8 marzo 2020: alcune prefetture accettano come prova un contratto di telefonia, altre non lo ritengono sufficiente; alcune prendono per buono un certificato medico, altre no. Eppure il Viminale ha preparato una lista di prove da ritenersi valide. Un’altra questione problematica riguarda l’idoneità alloggiativa, richiesta insensata e quasi sadica se si considera che le persone a cui è rivolta la sanatoria sono in molti casi braccianti che vivono nei ghetti o colf che condividono stanze affollate con altri lavoratori irregolari.
Nonostante sia stato chiarito con una circolare ministeriale del 17 novembre 2020 che questo documento può essere presentato anche in un secondo momento, molte prefetture continuano a rigettare le istanze che non lo includono.
Il sadismo burocratico
Il punto è che questi assurdi vizi della burocrazia nazionale stavolta non fanno sorridere, perché portano a rigettare la domanda di regolarizzazione di migliaia di lavoratori, condannati così dal capriccio di un funzionario a restare nella clandestinità e nel lavoro nero, con tutto ciò che ne consegue in termini economici, legali, e ancor prima esistenziali. Secondo gli ultimi dati, resi pubblici dal Viminale il 29 luglio 2021, è stato rigettato il 10 per cento delle richieste di permesso di soggiorno nel settore domestico e di assistenza alla persona, 4mila su 42mila.
Nel settore agricolo le domande rigettate si aggirano addirittura sul 30 per cento (1.500 rigetti su 6.500 domande esaminate). Un lavoratore che ritiene gli sia stata ingiustamente respinta la richiesta può fare ricorso al Tar, pagando una quota fissa di 300 euro, oltre alla parcella dell’avvocato. È chiaro che solo pochi potranno permettersi il ricorso: tutti gli altri si rassegneranno alla clandestinità.
Giovanni Punzi, presidente dell’Anolf Brescia (Associazione nazionale oltre le frontiere), denuncia un’altra grave conseguenza della discrezionalità: «Per il rilascio della tessera sanitaria l’azienda sanitaria richiede alle persone in emersione di documentare lo stato di avanzamento della loro pratica. È una richiesta illegittima, nessuna circolare ministeriale la prevede. Ma in questo modo si nega il diritto alla salute, alla cura, all’assistenza a persone che ne hanno diritto».
Grazie a queste storture, una percentuale importante dei 220mila lavoratori in emersione è stata per molto tempo esclusa dalla campagna vaccinale, anche se, nel caso delle badanti, hanno lavorato senza vaccino a contatto con soggetti anziani e fragili. La mancata vaccinazione è tra l’altro un ulteriore motivo di abuso: ci sono datori di lavoro che impediscono alle badanti di uscire per incontrare amici e familiari per paura che contraggono il virus e contagino l’anziano assistito.
Con una burocrazia che, capace di far impazzire gli italiani, scoraggia decisamente gli stranieri spesso in difficoltà con la lingua, per emergere dall’irregolarità diventa fondamentale imbattersi in uno sportello immigrazione particolarmente combattivo o in un sindacalista disposto a prendersi a cuore il singolo caso. Per chi si muove da solo restano solo l’esasperazione degli anni di attesa, i ricatti e l’esclusione sociale. Non si tratta solo di questioni di principio: «Senza documenti non posso affittare una casa, prendere la patente, trovare un lavoro dignitoso, pensare un giorno di rivedere mia figlia», protesta Gloria, che ha già pagato più di seicento euro a uno dei tanti avvocati che illudono gli immigrati di poterli aiutare a velocizzare la pratica.
Vittime anche gli italiani
Una burocrazia inefficiente e inaffidabile è un male in sé, ma in questo caso il danno che fa è più grave e concreto: relegare gli stranieri ad uno stato di clandestinità e miseria alimenta un bacino di lavoratori deboli e ricattabili, in una gara al ribasso delle paghe e dei diritti che, dopo vent’anni di criminalizzazione dell’immigrazione, avvelena anche l’aria che respirano i lavoratori italiani.
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