A oltre due anni dall’inizio della crisi pandemica, i divari che già da tempo segnavano il nostro sistema scolastico sono diventati sempre più stridenti e difficili da ignorare. Poiché si parla di istruzione, si tratta di divari particolarmente allarmanti, in quanto pongono le basi per seri problemi di diseguaglianza di opportunità lungo tutto il corso di vita degli individui.

Povertà educativa

Cosa si intende per diseguaglianze in ambito di istruzione? Innanzitutto, diseguaglianze di opportunità educative in funzione della famiglia di origine. Le condizioni familiari – soprattutto in termini di risorse socio-economiche e origine migratoria – influenzano fortemente le chances di riuscita scolastica di studenti e studentesse, la loro probabilità di intraprendere e concludere con successo gli studi universitari e, più in generale, le competenze a cui possono aspirare da adulti, per godere a pieno dei diritti di cittadinanza e partecipazione.

Questa non è, purtroppo, una specificità del nostro paese, ma un fatto ampiamente documentato in tutto il mondo industrializzato. Rispetto agli altri paesi industrializzati, però, l’Italia si contraddistingue per una situazione di grave povertà educativa e per forti divari territoriali. La povertà educativa consiste nella presenza di una quota rilevante della popolazione che non raggiunge una soglia minima di istruzione. Spesso questa soglia minima è definita in termini di titolo di studio, normalmente il conseguimento di un diploma o, per lo meno, il completamento dell’obbligo formativo.

Non raggiunge questa soglia chi abbandona precocemente la scuola: parliamo in questo caso di dispersione scolastica, un problema cronico in Italia, solo di recente in miglioramento. Tuttavia, la povertà educativa può esprimersi anche in termini di competenze: in questo caso, il problema riguarda persone che, indipendentemente dagli studi che hanno fatto, non sono in grado di effettuare operazioni basilari (come leggere e comprendere un testo o risolvere un semplice problema matematico) che dovrebbero avere imparato a svolgere durante la scuola dell’obbligo.

Una causa di diseguaglianza

LaPresse

Povertà educativa e diseguaglianza sono strettamente legate. Non solo perché la dispersione scolastica e le scarse competenze riguardano prevalentemente ragazze e ragazzi che crescono in contesti familiari e territoriali svantaggiati, ma anche perché spesso questi fenomeni sono essi stessi forieri di disparità. Il raggiungimento di un livello minimo di istruzione per tutti è precondizione per l’emancipazione di ciascun individuo e quindi per una vera uguaglianza di opportunità.

Nel 2019, fra gli alunni di seconda elementare il 28 per cento non raggiungeva un livello minimo in italiano, mentre fra gli alunni di quinta elementare questa percentuale si riduceva al 16 per cento e fra quelli di terza media risaliva al 35 per cento. Alle superiori, gli studenti in seria difficoltà in italiano erano il 30 per cento al secondo anno e il 36 per cento al quinto anno.

Le differenze fra contesti sono già visibili alle elementari: ad esempio, per quanto riguarda la matematica, quasi un quinto della variabilità di punteggi riflette variazioni fra scuole e gli studenti di Calabria, Sicilia e Sardegna ottengono risultati significativamente al di sotto della media nazionale.

I divari territoriali, peraltro, si allargano ulteriormente nei cicli di istruzione successivi (Invalsi, Rilevazioni nazionali degli apprendimenti, 2022).

La Dad

Questi dati ci permettono di trarre delle prime conclusioni su come la crisi pandemica ha influito sulla povertà educativa da competenze. I motivi per supporre un impatto negativo sono molteplici. La chiusura delle scuole prima e la didattica a distanza (Dad) poi hanno trovato le famiglie impreparate, vuoi per difficoltà di connessione a internet e strumentazione informatica, vuoi  per le condizioni abitative sfavorevoli.

Si pensi che, tra le famiglie con minori in età scolare, all’irrompere del Covid il 12 per cento non possedeva né un pc né un tablet (dato che sale al 19 per cento nel Mezzogiorno) e nella maggior parte dei casi l’uso della strumentazione disponibile era condiviso con gli altri familiari. Ma, soprattutto, il 42 per cento dei minori viveva in condizioni di sovraffollamento abitativo (Istat, Rapporto annuale, 2020). Inoltre la Dad ha richiesto aggiustamenti agli approcci didattici da parte di insegnanti che non erano stati formati per affrontare un tale scenario ed erano talvolta sprovvisti dei necessari strumenti tecnici (Censis, La scuola e i suoi esclusi, 2020).

La letteratura indica che anche in paesi digitalmente più avanzati, come l’Olanda, la Dad ha prodotto perdite di apprendimento notevoli, soprattutto fra gli studenti più deboli in partenza. In Italia, il peggioramento si è visto soprattutto nelle scuole medie e superiori.

L’abbandono scolastico 

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Fortunatamente, alla vigilia della pandemia l’abbandono scolastico non era più quello degli anni Novanta. Nel 1995 in Italia la quota di early school leavers raggiungeva circa il 35 per cento tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Un sostenuto miglioramento negli anni successivi ha portato la quota di abbandoni al 13,8 per cento nel 2016: questo andamento positivo sembra aver raggiunto un punto di stallo e nel 2019 gli early school leavers erano il 13,5 per cento dei giovani dai 18 ai 24 anni.

Molto nette le differenze tra macro-aree geografiche, anch’esse stabili nel tempo: sebbene il fenomeno interessi tutte le regioni, i tassi più alti si trovano nelle regioni del sud e nelle isole (dati Miur). Inoltre, in Italia – così come nella maggior parte dei paesi europei – le risorse familiari sono strettamente legate al rischio di abbandono, siano esse misurate in termini di titolo di studio dei genitori, reddito familiare o debole attaccamento dei genitori al mercato del lavoro.

Il contesto familiare è cruciale, ma per comprenderne le implicazioni dobbiamo fare un passo indietro. Infatti, sebbene quella di abbandonare la scuola possa apparire come una scelta individuale compiuta in un momento preciso lungo il percorso educativo, alcuni fattori agiscono nel tempo sul processo di progressivo distacco dalla scuola che porta poi alla scelta di abbandono.

Svantaggio cumulativo 

Questi dati denunciano non solo il sistematico ritardo nel disegno di politiche di ampio respiro e di lungo periodo che garantiscano i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche il rischio di svantaggio cumulativo per i minori che vivono nelle regioni del sud, in famiglie numerose e con un background migratorio.

Il Reddito di cittadinanza (Rdc) dal 2019 e il Reddito di emergenza (Rem) attivato nella fase acuta della pandemia per i nuclei che non potevano accedere al Rdc sono stati essenziali per le famiglie con figli (il 34 per cento dei percettori del Rdc e il 40 per cento dei percettori Rem, dati Inps). Sebbene migliorabile – come indicato nella inascoltata relazione del 2021 della commissione Saraceno nominata dal ministro Orlando del governo Draghi – e decisamente sottofinanziato rispetto agli strumenti di sostegno al reddito di altri paesi europei, il Rdc ha comunque rappresentato una misura tampone necessaria rispetto a situazioni di grave disagio socio-economico.

Tuttavia, è improbabile che Rdc e Rem siano stati sufficienti ad alterare la relazione tra povertà e abbandono in assenza di riforme massicce che agiscano sulle cause primarie della scarsità di risorse nel nucleo familiare, tramite, cioè, l’aumento dei salari e della partecipazione femminile al mercato del lavoro. A due anni dall’inizio della crisi pandemica, il sistema formativo non è riuscito a impedire un preoccupante indebolimento delle competenze.

Tuttavia, per quanto riguarda la dispersione scolastica in senso stretto, non è ancora possibile tracciare un bilancio univoco. Ciò che sembra evidente è che i principali meccanismi generativi della dispersione non sono stati disinnescati e, anzi, se non si interverrà, l’indebolimento del sistema scolastico e l’aumento della povertà molto probabilmente comprometteranno ancor di più le opportunità di vita dei giovani cresciuti in contesti fragili.


L’articolo è tratto da L’Italia dei divari, numero monografico de il Mulino 4/22 (euro 15)

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