In futuro i rischi aumenteranno nel settore bancario, e l’unione con Commerzbank sarebbe utile ad affrontarli. Ma in Germania l’operazione dovrà superare la reazione ostile delle autorità a difesa dell’”interesse nazionale”
L’acquisizione del 9 per cento di Commerzbank da parte di UniCredit ha suscitato un interesse che va oltre la valutazione della convenienza dell’operazione.
Ci si domanda infatti se l’acquisizione segni l’inizio di un processo di aggregazione del sistema bancario europeo, se questo possa avvenire prima che sia ultimata l’Unione Bancaria e, infine, se i governi nazionali abbasseranno le barriere all’interno dell’Europa che fin qui hanno scoraggiato le acquisizioni transfrontaliere.
Grande è meglio
Il processo di aggregazione del sistema bancario europeo è ineludibile. Basta guardare alle 20 maggiori banche quotate: Regno Unito, Spagna e Francia ne hanno tre ciascuno; due Italia, Germania e Svezia; e una Austria, Belgio, Finlandia, Danimarca e Olanda. La maggiore banca americana, JPMorgan capitalizza più di sette volte la maggiore europea, la francese Bnp.
Un sistema bancario troppo frazionato non è in grado di competere con le banche americane e sostenere la crescita dimensionale delle imprese europee, necessaria perché l’Europa recuperi competitività rispetto a Stati Uniti e Cina, come indicato nel Piano Draghi.
Per completare l’Unione Bancaria manca l’assicurazione sui depositi e un prestatore di ultima istanza in caso di crisi sistemiche. L’assicurazione sui depositi è osteggiata da paesi, come la Germania, che non vogliono dover tutelare i risparmiatori italiani nel caso che una crisi del nostro debito pubblico travolga qualche banca; e chiede che i Btp siano considerati rischiosi ai fini del calcolo del patrimonio di vigilanza. A ragione l’Italia ribatte che il rischio dei derivati e delle posizioni di trading delle banche tedesche e francesi non viene valutato in modo adeguato.
Quanto al prestatore di ultima istanza, è proprio l’Italia a non voler ratificare il Mes che avrebbe questo scopo. Ma sarebbe un errore aspettare l’Unione Bancaria per avviare le aggregazioni bancarie: la perdita di competitività dell’Europa non può attendere i tempi lunghi della politica. Come lo sarebbe se i governi europei continuassero ad opporsi alle aggregazioni per difendere interessi di parte e ricercare il facile consenso con politiche che evocano il nazionalismo: ma sono purtroppo le uniche ragioni per le quali il governo tedesco vuole osteggiare UniCredit. Né sorprende il mancato sostegno a una banca italiana da parte del nostro governo, che non può sconfessare all’estero il nazionalismo della sua politica economica
Le aggregazioni invece faciliterebbero l’uscita degli Stati dall’azionariato delle banche chiudendo finalmente la stagione dei salvataggi pubblici che risale alla grande crisi del 2008: una parte delle azioni di Commerzbank sono state infatti vendute dallo Stato tedesco; quello italiano pensa di collocare un altro 10 per cento di Mps; quello inglese di uscire da Natwest; come pure quelli di Irlanda, Grecia e Olanda dalle loro banche partecipate. Si calcola che in questo momento i governi vogliano collocare ben 16 miliardi di titoli bancari sul mercato.
La scommessa della Borsa
La Borsa valuta positivamente la mossa di UniCredit, giudicando che l’acquisizione di Commerzbank possa creare valore per la banca italiana. In Germania, UniCredit già possiede HypoVereinsbank, e l’eventuale fusione tra le due porterebbe sinergie di costo e una più ampia base di depositi.
La Germania, inoltre, ha un sistema bancario frammentato, caratterizzato da una bassa redditività, con tante istituzioni a carattere regionale, a fronte di un sistema industriale fatto di tante di imprese medio-grandi: il corporate e investment banking in Germania potrebbe dunque rappresentare una grande opportunità per UniCredit.
Una maggiore presenza in Germania ridurrebbe anche il costo medio della raccolta di UniCredit che oggi è penalizzato dal rischio Italia. Infatti, pur avendo un rendimento sul capitale superiore a Commerzbank (15 per cento rispetto a 8) e ratio patrimoniali migliori (oltre 16 per cento il Cet1 rispetto a 14,8), Unicredit ha un rating inferiore (BBB rispetto ad A) e paga un premio per il rischio sul suo debito simile (credit default swap): la spiegazione risiede nel più basso merito creditizio dello Stato italiano, che penalizza anche UniCredit. Un costo che aumenterebbe in caso di tensioni del nostro debito pubblico, e che un’ipotetica acquisizione di Mps o Bpm avrebbe ulteriormente ampliato.
Il giudizio positivo i deve anche alla tempistica. Le acquisizioni sono oggi vantaggiose per Unicredit perché Orcel si è concentrato sulla redditività della gestione ordinaria e sulla remunerazione degli azionisti, migliorando i multipli di valutazione in Borsa, che facilitano fusioni e acquisizioni, tipicamente finanziate con azioni proprie: più queste valgono rispetto a quelle della banca acquisita, maggiore la creazione di valore.
La cura Orcel
I risultati di Orcel dal suo arrivo si commentano da soli: tra le 20 maggiori banche europee è quella che ha maggiormente incrementato il valore in borsa, + 220 per cento rispetto a una media del 30 per cento. Rispetto al patrimonio, il valore di UniCredit è così aumentato da 0,30 a quasi 1, un incremento quasi doppio di quello medio delle maggiori banche. È il risultato di un incremento della redditività del capitale dal 6 al 15 per cento stimato per il 2024, ottenuto sfruttando meglio di altri l’aumento del margine di interesse, abbattendo il costo degli accantonamenti per le sofferenze, e contenendo il costo del lavoro (-3 per cento).
L’aumento della redditività ha remunerato più che proporzionalmente gli azionisti, visto che il capitale Cet1 stimato per il 2024 è inferiore di 3 miliardi rispetto al 2021; ciò nonostante sono migliorati i ratio patrimoniali grazie a una forte riduzione della rischiosità degli attivi (il denominatore usato per calcolare questi ratio), diminuiti di 43 miliardi nel periodo.
Questa crescita della redditività, tuttavia, non è sostenibile perché il margine di interesse è destinato a scendere con la riduzione dei tassi della Bce, gli accantonamenti ad aumentare se il rallentamento economico europeo persiste; né si può continuare a ridurre il rischio degli attivi se si volesse espandere il segmento del corporate e investment banking dove è probabile che ci siano le maggiori opportunità. Basta guardare alla crescita dell’utile per azione attesa dagli analisti: +58 per cento nel 2022, +88 nel 2023, +20 nel 2024, + 3 nel 2025. La decisione di UniCredit di ricercare la creazione di valore attraverso acquisizioni all’estero, sfruttando il vento in poppa degli ultimi anni, appare dunque molto opportuna. e l’ottimismo del mercato condivisibile.
Rischi all’orizzonte
Guardando avanti il problema è un altro, ed è comune a tutte le banche. UniCredit vale appena il suo patrimonio netto e sette volte gli utili attesi: pur essendo multipli superiori alla media, sono la metà di quelli dei titoli che compongono l’indice di borsa europeo (Stoxx 600); e, rispettivamente, un terzo e un quinto dell’indice americano S&P 500.
Nonostante la redditività recuperata negli anni della gestione Orcel, è chiaro che il mercato ritiene l’industria bancaria un settore maturo, incapace di sostenere in un futuro prossimo una remunerazione del capitale pari a quella attuale, gravato dagli alti costi degli investimenti in tecnologia, dal crescente onere della regolamentazione, dalle richieste di una maggiore patrimonializzazione, e dalla concorrenza degli intermediari non bancari nei segmenti più redditizi del mercato dei capitali.
In quest’ottica la decisione di UniCredit di puntare alla creazione di un gruppo pan-europeo potrebbe essere l’inizio di una serie di aggregazioni transfrontaliere per creare banche con dimensioni tali da poter sostenere una maggiore quantità di rischio e investire in nuove tecnologie per abbattere i costi e aumentare l’efficienza. Il condizionale è d’obbligo visto le barriere ai movimenti di capitale che il crescente nazionalismo e dirigismo della politica europea tendono ad erigere.
Per UniCredit è comunque meglio fare questo passo per prima, piuttosto che trovarsi a inseguire le altre banche.
Nota: Factset è la fonte di tutti i dati, aggiornati al 17 settembre.
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