In calo i risultati di Stellantis, che perde quota in Borsa e deve affrontare una fase di mercato complicata. In gran rimonta invece il gruppo olandese, su cui la famiglia Agnelli ha investito 3 miliardi di euro
Scalata
La holding Exor nel 2023 ha rastrellato in Borsa il 15 per cento di Philips
Chiamatela coincidenza, se volete. Ma molti, in Borsa, l’hanno presa come un segno del destino. In breve: è successo che lunedì scorso, 29 luglio, mentre il titolo Stellantis arrancava dopo giorni di ribassi vistosi, le azioni Philips hanno preso letteralmente il volo sul listino di Amsterdam: più 11 per cento.
L’impennata, hanno commentato gli analisti, si spiega con gli ottimi risultati di bilancio. La multinazionale dell’auto invece, pochi giorni prima, giovedì 25 luglio, aveva annunciato risultati semestrali deludenti, con profitti dimezzati e un calo dei ricavi del 14 per cento rispetto a un anno prima.
Scalata a sorpresa
Questa la cronaca, ma che relazione c’è tra il boom di Philips e la caduta di Stellantis? Il link tra le due aziende ha un nome, Exor, cioè la holding della famiglia Agnelli, quotata in Borsa e presieduta da John Elkann.
Giusto un anno fa, il 13 agosto del 2023, Exor annunciò di aver rastrellato sul mercato il 15 per cento del marchio olandese un tempo famoso per le apparecchiature elettriche e l’elettronica di consumo, dalle lampadine ai televisori. Gli Agnelli sono così diventati il principale azionista della società con base a Eindhoven.
Philips, però, ormai da anni ha cambiato pelle per trasformarsi in una multinazionale tra i leader mondiali delle apparecchiature medicali, Health Technologies, nel gergo degli esperti, cioè, diagnostica per immagini, respiratori, ultrasuoni e molto altro.
«Siamo qui per restare», fu il commento che arrivò da Exor all’indomani della sorprendente operazione olandese. E infatti l’incursione su Philips, costata circa 2,7 miliardi di euro, lanciava un segnale chiaro: nel portafoglio della famiglia Agnelli le attività diverse dall’auto sono destinate a crescere sempre di più.
Scommessa sanità
Da tempo, in verità, la dinastia torinese è alla ricerca di investimenti da affiancare a quelli tradizionali legati alle quattro ruote.
Questa volta, però, se non altro per dimensioni, la scommessa su Philips è tale da cambiare gli orizzonti del gruppo. Per capirlo basta dare un’occhiata ai conti Exor. L’asset di maggior valore in portafoglio è la quota in Ferrari: il 24,6 per cento nell’azienda del cavallino rampante vale 16,8 miliardi.
Poi c’è Stellantis: la partecipazione del 14,9 per cento nel capitale della multinazionale dell’auto valeva in Borsa 9,5 miliardi alla fine del 2023, ma ai prezzi di venerdì 2 agosto il pacchetto di azioni Stellantis di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann capitalizza intorno a 6,7 miliardi. È un andamento opposto a quello della quota in Philips che dalla prima metà dell’anno scorso, quando Exor ha rastrellato il suo pacchetto, si è rivalutata del 40 per cento: dai 17-18 euro dell’estate del 2023 la quotazione si è arrampicata fino ai 26 euro di questi giorni.
Così, adesso, la partecipazione nella multinazionale olandese vale circa 4,7 miliardi e pesa in portafoglio più di quella in un’azienda storica del gruppo Exor come Cnh (macchine industriali e movimento terra). Il divario sembra destinato ad allargarsi, se non altro perché mercoledì 31 luglio Cnh ha annunciato una semestrale con risultati in calo e ha perso ancora terreno in Borsa, dopo alcuni mesi di ribassi.
Insomma, per ora la scommessa su Philips si rivela azzeccata. Non per niente, nei mesi scorsi Exor ha continuato a comprare azioni della multinazionale portando la propria partecipazione fino al 17,5 per cento. E pensare che tra il 2021 e il 2022 l’azienda aveva perso i tre quarti del suo valore di Borsa, a causa di uno scandalo di dimensioni mondiali.
Scandalo internazionale
Una serie di denunce aveva infatti portato alla luce il funzionamento difettoso degli apparecchi contro l’apnea notturna venduti da Philips in milioni di esemplari. Gli effetti collaterali emersi andavano dal mal di testa ai problemi respiratori fino al cancro.
La società ha richiamato 5,6 milioni di dispositivi sotto accusa, mentre si moltiplicavano le cause in tribunale dei pazienti e le indagini delle autorità sulle due sponde dell’Atlantico. Da qui le vendite sul titolo e il crollo delle quotazioni, mentre il gruppo era costretto ad accantonare in bilancio centinaia di milioni per far fronte a eventuali condanne.
Nell’aprile scorso, però, c’è stata una svolta decisiva nella vicenda. Philips ha reso noto di aver siglato un accordo per metter fine alle azioni legali negli Stati Uniti. Una transazione costata cara. L’azienda ha accettato di pagare in totale 1,1 miliardi di euro nel tentativo di voltare pagina e lasciarsi alle spalle una vicenda che ha messo a rischio il futuro del gruppo.
Rimonta in Borsa
La svolta di aprile ha innescato l’immediato rialzo delle quotazioni, che poche ore dopo l’annuncio avevano già recuperato oltre il 30 per cento. Da allora, pur tra alti e bassi, il titolo ha guadagnato ancora terreno, anche se resta ancora lontano dai valori del 2021. Intanto il bilancio di Elkann alla voce Philips resta più che positivo, almeno per ora.
Del resto, stando alle dichiarazioni dei manager di vertice, Exor non punta al mordi e fuggi. La holding si è impegnata a non vendere le sue azioni per almeno tre anni e vorrebbe accompagnare il rilancio di un gruppo dall’azionariato molto frammentato, dove non ci sono altri soci con quote consistenti.
In prospettiva, in base alle intese raggiunte con il board di Philips, l’investimento della famiglia Agnelli potrebbe aumentare fino a raggiungere una partecipazione del 20 per cento. Il peso del gruppo olandese nel bilancio di Exor sembra quindi destinato a crescere ancora. Non è affatto da escludere, a questo punto, che il valore della quota in Philips finisca per avvicinarsi di molto a quello della storica partecipazione in Stellantis. Ironia della sorte, il declino in Borsa del gruppo automobilistico ha preso il via in aprile, proprio quando i titoli della multinazionale di Eindhoven si sono impennati. A fine marzo il titolo Stellantis valeva 27 euro, mentre in questi primi giorni di agosto oscilla intorno a quota 15,2. Un calo di oltre il 40 per cento.
Quanto soffre l’auto
Va detto che di questi tempi il settore auto non è certo in cima alle preferenze degli investitori. La difficile transizione all’elettrico e il calo della domanda legato anche alla difficile congiuntura economica hanno costretto quasi tutti i marchi principali a rivedere al ribasso le previsioni di vendite e profitti. E così, giusto per fare qualche esempio, negli ultimi quattro mesi i titoli Mercedes e Volkswagen hanno perso il 20 per cento, Ford che il 25 luglio ha annunciato un vistoso calo degli utili, naviga in Borsa su valori di un quarto inferiori rispetto all’inizio del mese scorso.
Ferrari va a gonfie vele (più 32 per cento in Borsa nell’arco dell’ultimo anno) ma in qualche modo fa caso a sé, visto che di solito viene inserita dagli investitori tra i titoli del comparto lusso, come le case di moda.
Stellantis, invece, soffre negli Stati Uniti, con il marchio Jeep in retromarcia nelle vendite, e anche in Europa. Per risalire la china l’amministratore delegato Carlos Tavares punta sul taglio dei costi, in Europa come oltre Atlantico.
Negli Usa il gruppo ha da poco annunciato un nuovo piano di esodi incentivati per i dipendenti, dai dirigenti agli operai, mentre in Italia, dove prosegue l’estenuante polemica con il governo sull’aumento degli investimenti nella Penisola, sono state prolungate le ferie per i lavoratori degli stabilimenti di Cassino, Melfi e Mirafiori, in aggiunta alla cassa integrazione già avviata da tempo.
«Credo che continuare a rinnovarsi sia molto importante per società come le nostre», ha dichiarato pochi giorni fa John Elkann in un’intervista alla rete televisiva Cnbc. Philips ha già cambiato pelle puntando sul business della sanità e sta tentando la rimonta dopo anni travagliati.
Analisti e investitori si domandano se Stellantis saprà fare altrettanto in uno scenario di mercato sempre più complicato. E forse, a questo punto, se lo sta chiedendo anche Elkann.
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