L’avvocato Liberati racconta che nel 2020 ha presentato una denuncia per segnalare irregolarità sull’ente previdenziale. Ma la querela è svanita nel nulla
«Rimaniamo esterrefatti di fronte alle rivelazioni dell’inchiesta di Domani, che svelano un rapporto ambiguo e in probabilissimo e pesante conflitto d’interessi tra Gaetano Caputi, capo di gabinetto di Giorgia Meloni, e la Fondazione Enasarco, da cui sarebbe pagato per un doppio ruolo di consulente e membro della vigilanza. Controllore e controllato», così il parlamentare del Pd, Marco Furfaro, commenta l’inchiesta pubblicata lunedì dal nostro giornale.
L’impegno del governo
Il parlamentare racconta che la maggioranza, pochi mesi fa, «ha approvato un nostro odg che impegna il governo a risolvere la questione dei silenti Enasarco, oltre 720mila cittadine e cittadini che hanno subito gravi ingiustizie da parte della Fondazione. Da quel giorno non abbiamo più saputo niente e nessuna azione è stata intrapresa. Oggi, alla luce di quanto emerso, dobbiamo forse correlare le due cose. Chiediamo immediata chiarezza e ricordiamo nuovamente che il governo ha preso un impegno con quell’ordine del giorno e ci aspettiamo che lo mantenga».
Reagisce con amarezza anche l’avvocato Giancarlo Liberati: «Come italiano sono preoccupato». Liberati è un noto difensore di casi complessi, come quella di Maysoon Majidi, l’attivista accusata di essere una scafista e, per questo, detenuta per dodici mesi, e poi assolta.
La denuncia dispersa
«Caputi è un funzionario di alto rango della pubblica amministrazione che, ricordo, era stato capo dell’ufficio legislativo dell’allora ministero delle Infrastrutture, al fianco di Antonio Di Pietro con il governo Prodi II, fra il 2006 e il 2008. E da lì ha svolto ruoli rilevanti, in Consob e poi al vertice di svariati ministeri, fino al delicato incarico a palazzo Chigi. E la situazione in Enasarco è ancora più allarmante perché ci sono una serie di vicende che si susseguono da svariati anni e che non trovano una soluzione».
Il 22 aprile del 2020 Giancarlo Liberati ha depositato una denuncia al procuratore della Repubblica, presso il tribunale ordinario di Roma, per conto del presidente di Federcontribuenti, Marco Paccagnella per segnalare che da alcuni anni molti agenti e rappresentanti di commercio «si rivolgono alla nostra associazione per denunciare abusi e condotte poco trasparenti da parte dei vertici della fondazione Enasarco. Al punto che l’associazione Federcontribuenti ha aperto uno specifico dipartimento per raccogliere tutte le informazioni provenienti dai diretti interessati, che chiedevano di vedere riconosciuti i propri diritti», si legge nel documento depositato ormai cinque anni fa.
La maggiore irregolarità riguarda, ancora una volta, i silenti, ovvero iscritti che per anni hanno obbligatoriamente versato contributi a Enasarco ma, non avendo raggiunto la soglia minima dei 20 anni di contribuzione, si ritrovano senza una pensione integrativa. Perché, «in base all’interpretazione personalistica delle leggi e, avvallati dai ministeri del Lavoro delle Finanze, non è possibile né riscattare quella somma, né renderla cumulabile con la pensione Inps, né percepire alcuna forma di rendita. È denaro versato e perso, se non si supera la soglia dei 20 anni di contribuzione».
A quella denuncia era allegato un dossier, firmato dallo stesso Paccagnella, che spiegava come Enasarco ha 990mila iscritti, di cui 220mila attivi, 120mila pensionati e circa 650mila divenuti silenti che hanno versato «al 31.12.2024 nelle casse di Enasarco somme pari a 7 miliardi e 250 milioni di euro, sottraendoli dai propri redditi famigliari, con la prospettiva di una vecchiaia serena “scopo della previdenza integrativa”», c’è scritto nel dossier allegato alla denuncia. L’ultimo dato dice che i silenti di Enasarco sono saliti a 720mila.
Archiviazione de plano
E che ne è stato di quella denuncia? Non ce n’è più traccia. «Si è volatilizzata. Nonostante fosse precisamente indicato che, in caso di archiviazione da parte della procura, gli avvocati fossero avvisati della decisione di archiviazione da parte del pm. Significa che non c’è un’iscrizione nel registro degli indagati, oppure che il pubblico ministero ha deciso di archiviare de plano, quindi in modo non corretto, senza avvertire i legali».
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