Per staccarci dal metano russo, Eni si prepara a far arrivare in Italia anche il metano egiziano che estrae in società con Rosneft, la società amministrata dall’oligarca Igor Sechin, soprannominato il “Darth Vader” di Russia, come il cattivo di Guerre stellari e personalmente sotto sanzioni dall’inizio di marzo.

Venerdì l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi è volato al Cairo per incontrare il presidente della Repubblica Araba d'Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, con l’intento di discutere delle attività di Eni nel paese e «delle aree di comune interesse e collaborazione», soprattutto le potenzialità del giacimento di metano Zohr. All'incontro era presente anche il ministro del Petrolio e delle risorse minerarie Tarek El-Molla. Durante il meeting si è affrontato il tema della produzione e dell’esportazione di gas naturale liquefatto.

I rapporti con l’Egitto

Il ministro Luigi Di Maio sta facendo il giro del mondo alla ricerca di quote di gas aggiuntive per sostituire i 29 miliardi di metri cubi all’anno che fornisce la Russia dai propri giacimenti. L’ultimo viaggio è stato in Azerbaigian. Se finora il ministro si era mosso in duo con Descalzi, per il viaggio in Egitto l’amministratore delegato Eni si è presentato da solo.

Eni ha una lunga storia nel paese, i primi accordi risalgono al 1954, l’epoca di Enrico Mattei, e da allora non hanno mai vissuto momenti di crisi. Qui nel 2015 il Cane a sei zampe ha festeggiato la scoperta del giacimento “supergiant” di Zohr nel Mediterraneo.

Il ritrovamento al Cairo del cadavere del ricercatore Giulio Regeni a febbraio 2016 ha fatto tornare in fretta e furia da una missione nella capitale egiziana l’allora ministra Federica Guidi e una delegazione di imprenditori. Eni non ha mai visto vacillare la partnership.

Rispondendo al Fatto Quotidiano all’epoca, la compagnia non trovava «nessuna ombra» nel business con Il Cairo: «Come Eni, non entriamo nel merito specifico della questione, che attiene alle relazioni tra i due paesi, e continuiamo nel frattempo a lavorare per sviluppare al meglio le risorse energetiche del paese».

La possibilità che il gas egiziano entrasse nel mercato italiano è stata nell’aria da subito. Tecnicamente la questione si è definitivamente sbloccata grazie all’impianto di liquefazione situato a Damietta, di proprietà della società Segas (50 per cento Eni, 40 per cento Egas e 10 per cento Egpc, entrambe compagnie di stato egiziane), con una capacità di 7,56 miliardi di metri cubi all’anno. Qui arriva il metano che il paese decide di esportare.

Fermo dal novembre del 2012 per una disputa commerciale, Damietta ha ripreso la produzione a marzo 2021. «L’acquisto del Gnl egiziano consolida la nostra strategia di sviluppo integrato aumentandone i volumi e la flessibilità in portafoglio, in sinergia con gli asset upstream (estrattivi) e rafforza la nostra presenza nell’Est Mediterraneo».

Arrivano i russi

Il giacimento egiziano di Zohr contiene «850 miliardi di metri cubi di gas, se per l’Italia possono equivalere a 12 anni di consumo, per l’Egitto significherebbero decenni di autonomia energetica» racconta sul sito Eni l’ex vice ministro degli esteri Lapo Pistelli, dal 2015 manager della società. Di fronte a questi volumi, le grandi compagnie si sono fatte avanti per partecipare. La prima è stata nel 2016 Bp, che ha acquisito il 10 per cento della concessione, a poche settimane di distanza è arrivata la compagnia di stato petrolifera russa Rosneft, che ne ha rilevato però una quota ben più consistente: il 30 per cento.

La Crimea era stata già invasa e la Russia sotto sanzioni. Ma la Borsa, riportava Ansa, «gradisce e il titolo del cane a sei zampe guadagna per tutta la giornata chiudendo a +3,72 per cento». Una vendita che ha superato il miliardo di dollari.

Dopo la cessione a Rosneft, Descalzi aveva assicurato: «Non venderemo altre quote in Zohr». Ma nel 2018 è arrivata la Mubadala Petroleum detenuta dal fondo sovrano del Governo di Abu Dhabi. Gli Emirati hanno chiesto una parte del giacimento egiziano per permettere a Eni di entrare per la prima volta negli paese arabo, e il nuovo scambio è stato accettato: venduto un altro 10 per cento.

Dopo le sanzioni del 2014, Eni si è allontanata da Rosneft nelle esplorazioni artiche. Nel Mediterraneo è andato avanti tutto bene: ad agosto 2019 la produzione di Zohr ha raggiunto oltre 2,7 miliardi di piedi cubi di gas al giorno (bcfd), circa cinque mesi in anticipo rispetto al piano di sviluppo.

Quanto?

L’incremento delle esportazioni previsto non è da poco. A marzo del 2021, Registra Staffetta Quotidiana, sono arrivati in Italia dall’Egitto 73 milioni di metri cubi, adesso si parla di un salto di grandezza. Eni non fornisce dati specifici, mantiene la segretezza per questioni di mercato, ma il Corriere della Sera ha riportato – senza smentite - che sono attesi 3 miliardi di metri cubi aggiuntivi da Qatar ed Egitto, l’anno prossimo 5. Si passa dai milioni ai miliardi. Al liquefattore non arriva solo metano da Zohr, e distinguere una molecola dall’altra è impossibile, ma quella di Zohr è la parte preponderante delle estrazioni e, spiega una fonte tecnica, è inevitabile che una quota rilevante di quello esportato venga direttamente dal giacimento, visto che senza sarebbe stato impensabile. Il ministro Luigi Di Maio ha detto che l’Italia è pronta a sanzionare il gas russo, ma il giacimento egiziano con Eni, Bp e Mubadala continua a prosperare. Sui rapporti con Rosneft per il futuro Eni risponde: «Le attività di esplorazione e produzione di Eni sono definite da accordi e contratti coi paesi ospitanti (quindi l’Egitto, ndr), e in quanto tali verranno rispettati». Eventuali problematiche «con partner di Joint Venture verranno valutate caso per caso qualora si dovessero verificare».

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