È scaduto ieri, 22 luglio, il termine ultimo a disposizione delle imprese dell’indotto dell’ex Ilva di Taranto per aderire alla proposta dei commissari straordinari di rientro dei crediti vantati nei confronti del gruppo siderurgico ora in amministrazione straordinaria. Come Domani ha raccontato nei giorni scorsi, la questione delle centinaia di milioni di euro non riscossi dalle aziende, oggetto all’inizio dell’anno da dure proteste, aveva trovato un qualche tipo di soluzione attraverso una lettera recapitata alle imprese da Daniele Rossi, direttore acquisti indiretti di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. 

«La maggioranza delle imprese aderenti alla nostra organizzazione ha aderito al piano dei commissari straordinari», conferma Nicola Convertino, presidente di Aigi, l’associazione che riunisce le imprese dell’indotto di Ilva che l’anno scorso sono uscite in massa da Confindustria Taranto per formare una sorta di “Confindustria parallela”. «Rappresentiamo oggi l’80 per cento delle imprese che operano nell’area industriale di Taranto» - prosegue Convertino - «siamo sostanzialmente soddisfatti da questo accordo, e ringraziamo per l’impegno profuso i parlamentari del territorio». E poi aggiunge: «ora ci aspettiamo nell’incontro che avremo alla regione Puglia la prossima settimana di ricevere altre rassicurazioni in merito al restante 30 per cento dei crediti non forniti dai commissari».

Nella missiva si proponeva di aderire entro il 22 luglio ad un accordo transattivo che prevedeva che il credito vantato possa essere rideterminato nella misura del 70 per cento, «con stralcio del residuo e senza null’altro a pretendere». A fronte di ciò, si leggeva nella lettera: «Il pagamento del 70 per cento sarà riscadenzato in un arco temporale di 20 mesi con rate mensili di pari importo».

Documento

Sia come sia, c’è però il contenuto di un documento di poche pagine di cui Domani è in possesso che reca come intestazione “Acciaierie d’Italia S.p.A. in Amministrazione Straordinaria - Norme a tutela dei creditori e delle imprese dell’indotto – Decreto Legge n. 4 del 2024”, a gettare una luce sinistra sulla questione, al di là della soddisfazione delle organizzazioni datoriali.

«L’accordo di stralcio tra il Creditore e Acciaierie d’Italia in AS» - afferma quest’ultima in una comunicazione fornita ai legali delle imprese in modalità Faq. - «non è obbligatoriamente subordinato alla cessione del credito a Sace o altro intermediario, ma è fortemente consigliata per evitare rischi derivanti da possibili diverse evoluzioni della procedura di amministrazione straordinaria»; si legge ancora: «in caso di mancata cessione del credito, non vi sono garanzie specifiche o da parte di terzi. L’Amministrazione Straordinaria risponde delle proprie obbligazioni, secondo la normativa applicabile e nell’ambito del proprio programma, che, nello specifico, è un programma volto alla cessione dei compendi aziendali». Non solo. Come spiega a Domani uno degli imprenditori che ha ricevuto la lettera con i chiarimenti: «la cessione del credito avviene pro soluto, cioè significa che il cedente, cioè Acciaierie, non sarà più responsabile di eventuali inadempienze future relative al credito stesso e, pertanto, non avrà responsabilità sulla solvibilità del debitore». Tradotto, ciò significa che questa modalità di cessione solleva il soggetto cedente da qualsiasi obbligo successivo nei confronti di colui che ottiene il credito, accelerando, così, le tempistiche di riscossione del denaro.

Timori

«È pur vero che rispetto al commissariamento del 2015, quando non ricevemmo un soldo, stavolta qualcosa la otterremo, ma è come se ci avessero puntato un coltello alla gola», continua un altro imprenditore: «perché, a conti fatti, non riceveremo il 70 per cento del credito, ma più o meno il 50 per cento della somma che ci spetta, dato che i costi del factoring, le commissioni, gli interessi, le spese sono a carico del Creditore dell’Indotto», conclude.

A rendere l’intera vicenda ancora più opaca, c’è un altro punto sollevato dalla comunicazione di Acciaierie in As, rispetto all’operazione di factoring, cioè alla cessione del credito a Sace o ad altre banche. Adi chiarisce che Sace, così come altri intermediari finanziari, possono prendere in carico l’operazione di factoring solo se il cedente rispetta i requisiti di bancabilità, cioè se si tratta di un’azienda che possiede grosse garanzie.

Il requisito della bancabilità, di cui non si fa menzione nella Legge n.28, però, preoccupa molto gli imprenditori dell’indotto, la maggioranza dei quali è insolvente, proprio a causa dei crediti vantati negli anni nei confronti di Acciaierie. «Noi, come tanti altri, pensiamo alla Semat (n.d.a, azienda che si trova in concordato preventivo e che ha un credito di 30 milioni di euro) non abbiamo i requisiti bancari. Dunque, cosa accadrà una volta che Sace ci dirà che non possiamo cedere a loro il credito perché non possediamo i requisiti, dato che abbiamo scoperto che in caso di mancata cessione del credito, non vi sono garanzie specifiche o da parte di terzi?», si chiede un altro imprenditore.

È il cane che si morde la coda, in sostanza. Ma è anche una proposta che non si può rifiutare. «È una dinamica che ricorda da molto vicino quello dello sconto in fattura, cioè il meccanismo della restituzione delle somme, un modus operandi che la gestione Arcelor Mittal ha usato spesso per saldare debiti, anche milionari, che aveva maturato con fornitori e prestatori d’opera. Fino all’anno scorso, infatti, con la gestione privata, accadeva che le aziende accettavano uno sconto extra nell’acquisizione degli ordini con la promessa che i crediti più vecchi potessero essere saldati», ricorda un fornitore storico dell’ex Ilva, e poi aggiunge: «ora la gestione statale ammette che se non accettiamo di cedere a Sace il nostro credito, potremmo vedere sfumare i nostri soldi». Ma per la legge che regola l’amministrazione straordinaria di imprese strategiche anche questo è possibile. 

© Riproduzione riservata