- Ogni anno le navi container trasportano attraverso l’Atlantico oltre venti milioni di litri di una materia prima fondamentale per la salute di centinaia di migliaia di pazienti.
- Negli Usa si raccolgono annualmente oltre 45 milioni di litri di plasma. Nell’Unione invece circa 8,4 milioni di litri a fronte di un fabbisogno di 13,5 milioni di litri, a cui si aggiungono le richieste delle case farmaceutiche per nutrire la produzione destinata all’export.
- Mentre nel Vecchio continente il cittadino dii solito non è retribuito, negli Stati Uniti riceve 80-90 dollari per donazione, cifra quasi raddoppiata in seguito alla pandemia.
Ormeggiata dai primi di luglio davanti al porto di Savannah, nello stato americano della Georgia, la nave Chicago Express è pronta a riprendere il suo viaggio verso l’Europa. Imbarca oltre ottomila container e tra questi ce ne sono alcuni che contengono un prodotto molto particolare: plasma, la componente liquida del sangue. I container che trasportano questa originale merce, il cui giro d’affari globale viaggia verso i 43 miliardi di dollari, sono speciali e devono essere refrigerati perché il plasma va mantenuto congelato, fino al momento del suo utilizzo in produzione, a una temperatura di meno venti gradi. La Chicago Express non è l’unica nave che trasporta plasma verso l’Europa, ce ne sono molte altre che continuano ad alimentare un traffico dalle dimensioni impressionanti. Gli Stati Uniti esportano infatti oltre venti milioni di litri di plasma all’anno destinati quasi totalmente al mercato europeo. Come con il gas o il petrolio, l’Europa è dunque dipendente anche da una materia prima meno nota, ma fondamentale per la salute di migliaia di suoi cittadini.
Gli usi
Il plasma è la parte del sangue che resta dopo aver tolto piastrine, globuli bianchi e globuli rossi. È composto da acqua (90 per cento), proteine (sette per cento), vitamine, ormoni e principi nutritivi (tre per cento). Sono in particolare le proteine ad essere utilizzate dall’industria farmaceutica per produrre le medicine che servono per integrare componenti mancanti del sangue.
Sono tanti i campi di applicazione, dal trattamento della cirrosi epatica e le sue complicanze alla prevenzione dell’epatite B o del tetano, dalla profilassi delle infezioni nelle immunodeficienze fino alla cura di malattie rare.
Per una persona con immunodeficienza primitiva occorrono in un anno 130 donazioni di plasma, per una persona con emofilia ne occorrono 1.200. Nella maggioranza dei casi, questi farmaci basati sulle proteine del plasma non hanno alternative terapeutiche. E spesso sono prodotti salvavita.
Consumi in continua crescita
In Europa circa 300mila pazienti hanno bisogno di plasma-derivati e si stima che siano un milione quelli potenzialmente trattabili da queste terapie. Il consumo di plasmaderivati infatti è in continua crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione, dell’approvazione di nuove indicazioni terapeutiche, dell’incremento dei dosaggi per accrescere l’efficacia delle terapie e dell’aumento delle diagnosi delle malattie trattate con questi farmaci.
Per ora l’unico modo per procurarsi il plasma è prelevarlo dal sangue umano che viene raccolto in tutto il mondo attraverso le donazioni dei cittadini. Una parte va agli ospedali per le trasfusioni, il resto all’industria farmaceutica.
In Italia circa il 10-12 per cento del plasma raccolto è utilizzato per uso trasfusionale in ospedale, mentre l’88-90 per cento è destinato alla produzione di farmaci. Complessivamente l’Europa raccoglie annualmente circa 8,4 milioni di litri di plasma ma ha bisogno di 13,5 milioni di litri e deve acquistare i restanti 5,1 milioni dagli Usa, dove se ne raccolgono oltre 45 milioni.
In realtà, il vecchio continente ne importa di più perché le società farmaceutiche europee, leader nella produzione di farmaci plasma-derivati, utilizzano più plasma di quanto è necessario per il consumo interno ed esportano i loro prodotti in tutto il mondo.
L’Europa conta 21 stabilimenti di produzione (su un totale di 76 al mondo) e rappresenta uno dei principali hub globali di lavorazione del plasma. Nella classifica delle prime dieci aziende del settore, guidate dall’australiana Csl Behring, sei sono europee.
Tra queste c’è l’italiana Kedrion, al quinto posto con un giro d’affari di 660 milioni di euro, che potrebbero salire ad oltre un miliardo dopo la fusione in corso con la britannica Bpl.
Il deficit italiano
Resta il fatto che se gli Stati Uniti non fossero un così grande raccoglitore di sangue, l’Europa avrebbe grossi problemi. La differenza dei volumi di raccolta è dovuta ai diversi sistemi di prelievo: in Italia, Francia e Spagna, per esempio, il donatore non riceve alcun pagamento o rimborso quando dona il suo plasma mentre in Germania e in Austria viene riconosciuto un rimborso spese.
Negli Stati Uniti, invece, i cittadini incassano 80-90 dollari per donazione, cifra quasi raddoppiata in seguito alla pandemia. Una politica che viene criticata perché spinge le persone più povere e vulnerabili a donare frequentemente il plasma, disincentivando al contempo le donazioni volontarie.
Ma così l’Italia copre il 70 per cento del suo fabbisogno, la Francia appena il 35 per cento, la Spagna il 39 per cento mentre Austria, Germania e naturalmente Stati Uniti sono in eccedenza.
A complicare un mercato già parecchio sbilanciato ha contribuito la pandemia di Covid-19 che ha provocato una riduzione della raccolta del plasma a livello internazionale: negli Usa c’è stata una flessione di oltre il 20 per cento, mentre in Italia secondo i dati del Centro nazionale sangue, si è verificato un calo del due per cento. E parallelamente sono aumentati i costi.
Oltre a cercare di trovare il modo per incrementare la raccolta di plasma aprendo nuovi centri di raccolta, l’Europa deve anche affrontare uno scontro interno che riguarda l’Italia.
Il casus belli è contenuto nel disegno di legge sulla concorrenza che consente a tutte le aziende con stabilimenti nei paesi dell’Unione di partecipare alle gare indette dalle regioni per trasformare in farmaci il plasma proveniente dai donatori italiani. Il problema è che mentre il mercato italiano diventerà il più liberalizzato dell’Unione, altri paesi non sono altrettanto aperti, come Francia, Spagna od Olanda. Un ennesimo paradosso.
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