Giorgia Meloni ha sostituito Mario Draghi a palazzo Chigi e il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, verrà sostituito a novembre da Fabio Panetta, ora alla Bce e da molti considerato “il Ciampi della destra”.

Nel frattempo soffia in Europa, e ora in Italia, un vento di “nazionalismo economico” o di “autarchia finanziaria”, indotto anche dalla stessa Commissione Ue, che ha ridotto i poteri del commissario alla Concorrenza, la liberale Margrethe Vestager (che infatti pensa di andarsene alla Bei), per consentire ai paesi membri di sostenere con maggiori aiuti di stato i campioni nazionali dopo la pandemia e di ridurre le acquisizioni cinesi di aziende strategiche con il potere governativo delle golden power. Senza dimenticare che la dipartita dalla Ue di Londra, alfiere del mercato, ha dato fiato ai fautori del dirigismo nazionale.

La mossa di Delfin

In questo mutato contesto europeo e nazionale va inquadrata la vicenda della holding Delfin della famiglia Del Vecchio, guidata da Francesco Milleri, che ha ottenuto l’autorizzazione da Ivass per superare il limite del 10 per cento dei diritti di voto in Generali, la maggiore assicurazione del paese e terza in Europa dopo la tedesca Allianz e la francese Axa.

Una notizia che ha riaperto ipotesi di scalata sul titolo del Leone e, in subordine, di modifica degli assetti in Mediobanca che detiene in pancia il 13 per cento di Generali. Timori infondati? Effettivamente Delfin ha smentito le indiscrezioni di Repubblica che indicavano una possibile modifica degli equilibri societari di Generali e Mediobanca e ha parlato del superamento della quota come un fatto tecnico.

Delfin ha precisato «che la richiesta presentata all’Ivass in data 17 aprile 2023, al fine di poter esercitare diritti di voto per più del 10 per cento in Assicurazioni Generali, si è resa necessaria – ai sensi di legge – in conseguenza del piano di acquisto di azioni proprie avviato da Assicurazioni Generali nell’agosto del 2022».

Mediobanca

Tanto rumore per nulla, dunque? Nel recente passato però Delfin, insieme ad altri azionisti italiani, come Francesco Gaetano Caltagirone, la famiglia Benetton e la Fondazione Crt, affrontò Mediobanca di Alberto Nagel durante il rinnovo del cda di Generali.

Nella assemblea dei soci del 2022 la lista appoggiata da Delfin ottenne solo il 29 per cento del capitale, mentre la lista uscente di Nagel, che aveva l’appoggio del mercato e grazie all’utilizzo di titoli in prestito, riscosse il 40 per cento.

Dietro all’ipotesi di scalata si potrebbe celare la possibilità di una rivincita degli sconfitti di allora che potrebbe seguire due strade: aumentare la quota di Delfin mettendo mano al portafoglio anche se l’acquisto del 10 per cento di Generali costerebbe circa tre miliardi di euro.

Oppure si potrebbe rendere più complessa, attraverso una modifica legislativa, la presentazione della lista del cda, una mossa dagli esiti incerti dato che la lista autonoma in passato ha avuto il sostegno degli investitori istituzionali e tiene in minor conto i desiderata dei soci maggiori.

Una vicenda dunque dai contorni ancora aperti al punto che Equita, società di investimento, segnala che ci sono ancora diversi aspetti da capire e che c’è da verificare «la strategia di Delfin su Generali sotto la gestione di Milleri, considerando le ultime dichiarazioni che sembravano indicare un focus sul core business dell’occhialeria e un approccio più collaborativo nei confronti di Mediobanca».

Quello che è certo che dietro a questa vicenda c’è la definizione degli equilibri e del tipo di assetto economico italiano ed europeo dei prossimi anni.

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