La parola d’ordine che a Bruxelles circola oramai da almeno due anni è arrivata anche in Italia e direttamente nell’agenda di governo. Ieri il ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e quello dell’innovazione Vittorio Colao, il sottosegretario agli Affari Europei, Vincenzo Amendola, hanno partecipato alla presentazione di un non position paper sulla «sovranità tecnologica» messo a punto dal Centro per l’economia digitale (Ced), dell’università La Sapienza, centro studi fondato tra gli altri dall’ex ministro dell’economia Giovanni Tria che non a caso di Giorgetti è consulente non pagato per la produzione di vaccini e centro studi di cui sono soci le grandi aziende partecipate, una per tutte Leonardo, la ex Finmeccanica, guidata da Alessandro Profumo, ma anche i protagonisti della vicenda rete unica, Tim e Open Fiber o aziende dell’energia come Enel o Eni.


Tutte riunite dalla volontà di partecipare al progetto della «sovranità tecnologica» made in Italy, quella che appunto due anni fa l’attuale presidente del consiglio europeo Charles Michel ha definito con una buona dose di retorica: «Lo scopo della nostra generazione». Sovranità tecnologica significa essere in grado di essere autonomi in filiere strategiche della produzione industriale e quindi per forza di cose dell’innovazione, partendo ovviamente dalla base della quarta rivoluzione industriale che è il digitale. Per capire cosa non è sovranità tecnologica basta guardare a quello che sta succedendo con i vaccini che si infialano qui ma finora si producono altrove, nonostante qui ci siano tutte le competenze necessarie per mettere in piedi la produzione.

«È saltato tutto»

Sul fronte dei vaccini è «saltato tutto», ha ammesso Giorgetti: «L’Europa si è trovata completamente non autonoma per decisioni che riguardano la vita e la morte dei suoi cittadini».

Lo studio del Ced snocciola numeri che sono abbastanza chiari, mettendo in fila i parametri che misurano la nostra produzione di brevetti in alcune classi tecnologiche rispetto ad altri paesi europei e il vantaggio e lo svantaggio comparato rispetto ad altre zone del mondo. E lo fa non solo per le tecnologie necessarie alla produzione di vaccini, ma anche con le classi di brevetto legate a tecnologie fondamentali come il 5G o l'edge computing (l’elaborazione dati non centralizzata).

Per il 5G la corsa della Cina è stata talmente rapida che fatto 100 il livello cinese, secondo lo studio Ced, l’Italia raggiunge appena 7,3 punti, mentre gli Stati Uniti sono a 31, quindi a meno di un terzo del livello cinese e gli altri partner europei tra cui Francia e Germania sono avanti a noi. L’edge computing è fondamentale nello scenario di sviluppo dell’internet of things e cioè quando la rete sarà una infrastruttura di collegamento degli oggetti, dalle nostre case alle strade, ma anche degli stabilimenti produttivi e dei macchinari industriali che regolano la produzione, ma ad oggi fatto cento il livello cinese, l’Italia è a uno.

Giorgetti, che qualche settimana fa ha accolto a Roma uno dei principali artefici della teoria della sovranità tecnologica europea, il commissario francese Thierry Breton, ha sostenuto la necessità di una svolta e non si è lasciato sfuggire la battuta offertagli a basso costo: «Non perché io sia sovranista, ma perché ci serve autonomia strategica». Il ministro più democristiano della Lega sovranista di Salvini ha, quindi, sostenuto che l’Italia «deve avere l’ambizione di costituire assieme a Germania e Francia il triangolo portante dell’impalcatura europea». Il sottosegretario Amendola ha ammesso che dobbiamo recuperare che siamo in ritardo. Il punto, spiega bene il paper del Ced, non è tanto avere catene di valore e produttive autosufficienti e non dipendenti ma piuttosto è necessario «che vi siano fornitori operanti nell’Unione europea che padroneggino le tecnologie ritenute cruciali e siano in grado di tradurle in applicazioni» e questo su tutto il ciclo industriale, dalla ricerca di base al settore manifatturiero, al supporto nel settore dei servizi.

Una completa indipendenza, però, non solo sarebbe impossibile, ma «nemmeno desiderabile», perché avrebbe costi elevati in termini di efficienza, anche e soprattutto considerando il gap che c’è già ora. Si tratta dunque di analizzare i costi e i benefici e trovare un compromesso che ci garantisca abbastanza autonomia. Ma per farlo serve quello che l’Italia non ha avuto cioè investimenti e una coerenza di visione industriale.

Dice Rosario Cerra, fondatore e presidente del Ced, che secondo le loro stime ogni euro investito nei settori ad alta tecnologia genera, un effetto moltiplicatore pari a 2,4 euro. Inoltre va considerata anche la concentrazione di brevetti nelle diverse classi tecnologiche. L’Italia, si legge nel paper, si contraddistingue «per una forte dispersione delle capacità tecnologiche», per quote piuttosto limitate di brevetti nelle diversi classi tecnologiche mentre gli Stati Uniti, si legge nel paper, «sono specializzati in meno classi tecnologiche, caratterizzate però, come vedremo, da una elevata strategicità». Le scelte di filiera sono quelle che possono fare la differenza nel piano di ripresa, sono collegate alle filiere europee e passano anche da aziende come Leonardo, che infatti ieri schierava l’amministratore delegato Alessandro Profumo. La missione affidata a Giorgetti è chiara: passare da sovranista ad autonomista, almeno tecnologico.

 

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