L’Antitrust ha multato per cento milioni di euro Google per una violazione «grave della concorrenza». Ha ostacolato l’ingresso della applicazione JuicePass di EnelX nel sistema Android auto. Per la prima volta calcola il fatturato italiano di Google: ammonta all’uno per cento del totale
- L’Antitrust ha multato per cento milioni di euro Google per una violazione «grave della concorrenza». E cioè l’aver ostacolato l’ingresso della app JuicePass di EnelX nel sistema Android auto.
- L’authority nella sua decisione definisce i dati ufficiali di Google a livello globale non attendibili. E calcola per la prima volta il fatturato italiano di Google, che, anche se è coperto da omissis nel testo, ammonta all’uno per cento del totale.
- Inoltre per la prima volta impone all’azienda e a sue spese un fiduciario che monitori il rispetto degli interventi di correzione a tutela del mercato.
Dati di fatturato «inattendibili» e comunque «non rappresentativi» su cui l’Antitrust non poteva basarsi per calcolare la multa, salata, per una violazione «grave della concorrenza». E cioè il fatto che Google abbia per oltre due anni abusato della sua posizione dominante e ostacolato l’interoperabilità tra la app di EnelX, JuicePass con il sistema Android Auto. Così la maxi sanzione annunciata ieri per Google Italy, Google e Alphabet calcola anche per la prima volta il fatturato su base nazionale di Google, che anche se è coperto da omissis nel testo, secondo quanto ci risulta ammonta all’un per cento del totale. E apre una nuova stagione per l’Antitrust italiana, ma non solo.
Il caso EnelX
Il caso è di scuola nel campo dei comportamenti anti concorrenziali delle società Big tech. EnelX, società che si occupa di ricariche elettriche di Enel, ha una app JuicePass che serve per individuare le colonnine di ricarica elettrica di Enel X. La violazione è durata più di due anni, perchè è dal 2018 che la società chiede a Google l’interoperabilità con il sistema AndroidAuto che permette di fare tutte le operazioni alla guida ma in sicurezza. Ma la loro domanda non è mai stata soddisfatta. Al punto che secondo l’Agcm «il perdurare di questa condotta potrebbe compromettere definitivamente la possibilità per Enel X Italia di costruire una solida base utenti, in una fase di crescita significativa delle vendite di veicoli elettrici».
La concorrenza sui dati
L’Antitrust sostiene che tra la app di Enel X e la app di Google, Google Maps, ci sia una sovrapposizione. Anche Google Maps infatti permette di localizzare le stazioni di ricarica per le auto elettriche. E quindi il caso ricade nel campo degli ostacoli che i gatekeeper cioè le società che offrono l’accesso agli ecosistemi digitali pongono ai concorrenti. Gli ecosistemi per le app creano circoli viziosi, l’aumento delle app fatte ad hoc per quel sistema, da rendere la concorrenza impossibile secondo un consulente citato nel provvedimento: sono, dice il testo, “black ocean”, oceani neri, cioè mercati non contendibili. La posta in gioco è sempre la stessa: i dati. Per EnelX infatti far utilizzare ai propri clienti la sua app proprietaria significa in sostanza avere accesso ai comportamenti di consumo della propria clientela, una risorsa ormai fondamentale per fare business.
JuicePass ha inoltre anche altre funzioni rispetto alla app “generalista” di Google. Per esempio quella di poter pagare la ricarica, avviarla, monitorarla e concluderla. Quindi secondo l’Agcm il comportamento di Google ha l’effetto anche di peggiorare il servizio agli utenti finali.
Le reticenze
Le 156 pagine che accompagnano la multa – senza aggravanti né attenuanti ma nel range più alto che corrisponde alle violazioni gravi – testimoniano le reticenze ripetute del’azienda. Non solo nei confronti di Enel X e peraltro di almeno una casa automobilistica. Google si è legittimamente difesa, ma ha rifutato di essere definito un gatekeeper, concetto fondamentale della analisi della concorrenza del settore tecnologico, sostenendo che non ci sia alcun riferimento di legge a proposito. E ha ritardato informazioni come il domicilio in Italia, un dettaglio si dirà, che però dà la misura della difficoltà di gestione dei rapporti. Ma soprattutto ha comunicato dati sul fatturato, necessari all’antitrust per calcolare l’ammontare delle sanzioni, che l’authority ha ritenuto non attendibili. Secondo Google il servizio Android non porta ricavi alla società – nel bilancio consolidato a livello globale è contabilizzato sotto la voce GoogleServices sotto la quale rientrano anche i servizi Google Play e Google Maps, gli altri numeri che servivano come riferimento. Ma anche per questi ultimi «non sono stati resi disponibili i criteri di stima adottati» da Google.
Il calcolo del fatturato
La sentenza definisce la «visione unitaria dell’attività di Google, affermata nel bilancio consolidato», «coerente con la caratteristica dei servizi digitali». E tuttavia questa coerenza di attività viene negata proprio di fronte alle indagini per concorrenza. In ogni caso «in assenza di ulteriori informazioni circa l’incidenza del fatturato generato in Italia sui ricavi globali di Google» l’antitrust ha proceduto a stimare autonomamente il fatturato di Google in Italia, basandosi sull’unico dato ufficiale disponibile cioè ricavi per la macro area Emea, cioè Europa, MedioOriente, Africa, che pesano per il 30 per cento del totale. Ed è arrivata a stimare una quota per l’Italia che coincide anche con quella fatta da Google Italy a precisa domanda in una comunicazione di aprile 2021. Nel testo della sentenza la cifra è coperta da omissis, ma da quello che abbiamo potuto ricostruire il fatturato per l’Italia ammonta all’un per cento del totale.
La nomina di un fiduciario
Anche l’elenco di azioni per riparare alle violazioni imposte dall’Antitrust segna una svolta. Prima di tutto l’authority impone alla società americana di intervenire subito a livello tecnologico, o rendendo disponibile il nuovo template per Android Auto o nel caso anche questo non permettesse l’utilizzo di tutte le funzioni della app di EnelX creandone direttamente un altro. E per vigilare sul fatto che queste azioni vengano realmente intraprese impone la nomina di un fiduciario indipendente, sul cui nominativo che deve essere presentato dall’azienda entro trenta giorni si premura di poter mettere il veto e di poter anche modificarne il mandato «al fine di consentire al fiduciario di svolgere le proprie funzioni». Il compenso del fiduciario sarà «a carico di Google». Google dovrà pagare il compenso al vigilante terzo e, ultimo ma assolutamente non ultimo, permettergli «l’accesso a tutte le informazioni e a tutte le risorse necessarie per lo svolgimento del compito»..
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