Sulla cessione dell’azienda a un fondo Usa pesa il precedente del marchio svenduto nel 2019. L’esecutivo pretende impegni su posti di lavoro e investimenti e minaccia l’uso del golden power
Correva l’anno 2021, mese di aprile, quando il governo evocò per la prima volta un possibile stop a Stellantis sulla vendita di Comau. «Valuteremo l’attivazione del Golden Power», scandì in Parlamento l’allora ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti. Le stesse parole, o quasi, consegnate ai cronisti pochi giorni fa da Adolfo Urso, che ha preso il posto del collega leghista al dicastero di via Veneto. Questo per dire che il destino di un’azienda storica della galassia ex Fiat, specializzata nella robotica e dell’automazione industriale, è in bilico da tempo.
Già Sergio Marchionne, a capo dell’allora Fca, nel 2017 valutò di separarsi da Comau. Due anni dopo, la vendita è stata inserita tra le clausole della fusione con i francesi di Psa che ha dato vita a Stellantis.
L’amico americano
L’ora X è arrivata due settimane fa, il 25 luglio, quando la multinazionale dell’auto ha annunciato la cessione della quota di maggioranza, il 50,1 per cento, della sua controllata con sede e stabilimento principale a Grugliasco, alle porte di Torino. A comprare sarà One Equity partners, un fondo statunitense, già braccio armata della banca Jp Morgan.
Un investitore finanziario, che per mestiere acquista per valorizzare e poi rivendere, prenderà quindi il posto del gruppo che per decenni è stato anche il principale partner industriale della società destinata a passare di mano. E anche se per il momento i manager di vertice di Comau sono destinati a restare al loro posto, la svolta preoccupa, e molto, i sindacati e la politica. E si capisce facilmente anche il perché.
C’è il precedente di Magneti Marelli che nell’ottobre del 2018 venne ceduta per 6,2 miliardi di euro alla giapponese Calsonic Jansei, controllata da Kkr, un fondo statunitense al pari di One Equity partner. Un terzo dei proventi di quella vendita venne girato pochi mesi dopo agli azionisti di Fca, cioè in primis la famiglia Agnelli, sotto forma di dividendo straordinario.
Marelli invece, una volta uscita dall’orbita della ex Fiat, ha affrontato con grande difficoltà il nuovo contesto di mercato, quello della transizione all’elettrico, anche perché i nuovi proprietari hanno scaricato sull’azienda una parte dei debiti, e i bilanci sono andati in rosso.Si spiegano così le crescenti difficoltà degli stabilimenti italiani e la chiusura, annunciata nell’ottobre scorso, dell’impianto Marelli di Crevalcore, in provincia di Bologna, che contava 400 dipendenti.
Diplomazia e politica
Con questo precedente alle spalle, è fin troppo facile per il governo utilizzare anche l’affare Comau come arma di pressione nell’estenuante negoziato con Stellantis sui nuovi investimenti in Italia. Il Golden Power difficilmente riuscirà a bloccare la vendita, ma potrebbe costringere i compratori americani a fornire una serie di garanzie formali sul mantenimento dei posti di lavoro e sugli investimenti futuri. La questione è anche diplomatica. Non sarà facile per l’esecutivo di Roma imporre condizioni troppo dure a un investitore che batte bandiera dell’alleato Usa.
L’obiettivo però è anche e soprattutto politico. Le esternazioni del ministro Urso, sempre a favor di microfoni e telecamere, puntano a scoprire il gioco dell’azionista John Elkann e del ceo Carlo Tavares, i vertici di Stellantis che a parole rassicurano l’opinione pubblica sulla centralità dell’Italia nei piani del gruppo, mentre prendono decisioni che vanno in senso opposto.
Tutto questo in una fase in cui Stellantis affronta un mercato che si fa sempre più complicato, come dimostrano i risultati dell’ultima semestrale, presentata a luglio, che vede profitti dimezzati e ricavi in calo del 14 per cento. La vendita di Comau è di sicuro utile per far cassa, a costo di privarsi di un’azienda che vanta tecnologie di primordine.
Bilanci in rosso
A quanto ammonterà l’incasso di preciso non si sa. La nota ufficiale che ha annunciato la vendita non fa menzione del prezzo di vendita. Secondo indiscrezioni di fonte finanziaria, Stellantis potrebbe ricevere una somma dell’ordine delle centinaia di milioni. Difficile fare valutazioni, visto che non sono stati resi noti neppure i dati di bilancio dell’azienda destinata a passare di mano.
Secondo quanto risulta a Domani, la capofila italiana del gruppo Comau nel 2023 ha perso 12,7 milioni su un giro d’affari di 266 milioni, mentre l’anno precedente il rosso di bilancio era arrivato a 60 milioni, anche per effetto della svalutazione di alcune partecipazioni, su ricavi di 208 milioni. Comau però controlla attività anche all’estero, le più importanti si trovano negli Stati Uniti, in Cina e in Brasile. Sommando i ricavi di queste filiali il valore della produzione del gruppo dovrebbe superare il miliardo. I dipendenti nel mondo sono circa 3.500, di cui 800 in Italia nello stabilimento di Grugliasco, molti meno dei 1.100 addetti di fine 2018.
Stellantis rimarrà un azionista di minoranza attivo, hanno rassicurato fonti del gruppo subito dopo l’annuncio della vendita a One Equity Partners. I sindacati però premono sul governo perché le garanzie sul futuro italiano del gruppo vengano messe nero su bianco anche, se necessario, con l’esercizio del Golden power.
A suo tempo, anche la vendita di Magneti Marelli fu accompagnata da precisi impegni sugli investimenti da realizzare in Italia e sulla tutela dei posti di lavoro. Passato qualche anno sono arrivati centinaia di licenziamenti. Una storia senza lieto fine che ora pesa sul futuro prossimo di Comau.
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