- La disuguaglianza è un fenomeno complesso che spesso viene commentato con semplicità. I dati sul reddito disponibile equivalente degli italiani evidenziano una sostanziale costanza della disuguaglianza a partire dalla metà degli anni Novanta.
- Inoltre ci sono altri nodi che rischiano di far sottostimare la disugualianza come la difficoltà di osservare quanto accade nella ‘coda alta’ della distribuzione dei redditi.
- I molto ricchi tendono a esere sottositmati nelle indagini campionarie perché dispongono di fonti di reddito più difficilmente misurabili.
I dati campionari pubblicati da Istat e Banca d’Italia mostrano che, anche durante la pandemia, la disuguaglianza nei redditi in Italia è rimasta sostanzialmente costante. Ciò ha spinto alcuni commentatori a sostenere che il problema non sia la disuguaglianza ma la povertà, che invece risulta in crescita.
La disuguaglianza è un fenomeno troppo complesso per affidare a un solo indicatore la decisione se essa costituisca un problema.
Di quella complessità cercheremo di dare conto in una serie di articoli che si focalizzeranno sulle difficoltà a cogliere il reale andamento della disuguaglianza, sulle sue determinanti e la loro rilevanza per decidere se e come contrastarla.
In questo primo articolo vogliamo rispondere a una domanda: cosa si può fondatamente dire su tendenze e altezza della disuguaglianza dei redditi in Italia?
Cosa dicono i dati
Partiamo dai dati – di fonte Istat e Banca d’Italia – sulla distribuzione del reddito disponibile equivalente cioè la somma di tutti i redditi di mercato e i trasferimenti in moneta percepiti dai membri di una famiglia, al netto di imposte personali e contributi a carico dei lavoratori, e reso equivalente per consentire il confronto fra individui che vivono in famiglie di diversa dimensione. Tale reddito viene infatti solitamente considerato il miglior indicatore del benessere economico individuale.
Quei dati, come detto, evidenziano una sostanziale costanza della disuguaglianza (misurata con il coefficiente di Gini) a partire dalla metà degli anni Novanta.
Quando dalla disuguaglianza – che guarda alle differenze di reddito fra tutti gli individui in una collettività – si passa alla povertà – attenta solo a coloro che si collocano nella parte più bassa della distribuzione – il quadro si fa più articolato.
L’incidenza della povertà relativa – che registra la quota di individui con reddito disponibile equivalente inferiore al 60 per cento di quello mediano e risente principalmente della disuguaglianza nella "coda bassa” – è rimasta anch’essa sostanzialmente stabile, mentre l’incidenza della povertà assoluta – ovvero la quota di famiglie che spende meno del costo di un paniere di “beni necessari” – è praticamente raddoppiata fra il 2011 e il 2020.
Ma basta la diversa dinamica di disuguaglianza e povertà relativa, da un lato, e povertà assoluta, dall’altro, per concludere che ci si dovrebbe preoccupare unicamente delle condizioni di vita dei meno abbienti, disinteressandosi, ad esempio, di quello che accade alle distanze fra classe media e classe ricca?
La risposta non ci pare possa essere affermativa e per diverse ragioni, a iniziare dai dubbi sulla capacità dei dati utilizzati di cogliere l’effettivo andamento della disuguaglianza.
Sempre in base al coefficiente di Gini, l’Italia ha una disuguaglianza molto elevata in rapporto ad altri paesi. Nel 2020 soltanto quattro paesi dell’Ue, Bulgaria, Lettonia, Lituania e Romania, presentavano un coefficiente di Gini più elevato di quello italiano.
Fra i paesi dell’Ue con reddito pro capite simile, l’Italia è, dunque, sicuramente quello più diseguale.
Questa nostra poco lusinghiera posizione non consente, almeno a nostro parere, di liberarsi del problema con il solo argomento che non vi sono segnali di un suo ulteriore peggioramento.
Ma la solidità di quei segnali può, essa stessa, essere messa in discussione, perché i dati utilizzati possono non essere in grado di cogliere tutte le dinamiche in atto.
Le misure abituali di reddito disponibile tralasciano una serie di elementi cruciali per il benessere economico – quali adeguati servizi di welfare o abitativi – la cui disponibilità può essere variata in modo diseguale nel corso del tempo.
Emergono forti dubbi sulla capacità dei dati campionari di rappresentare con esattezza ciò che accade nelle parti estreme della distribuzione, fra i molto poveri e fra i molto ricchi. In particolare, la difficoltà di osservare quanto accade nella ‘coda alta’ – i molto ricchi tendono a non essere rilevati nelle indagini campionarie in misura proporzionale alla loro consistenza anche perché dispongono di fonti di reddito più difficilmente misurabili – può portare a sottostimare, anche fortemente, il livello della disuguaglianza.
Tracciare i redditi alti
Se poi la concentrazione dei redditi nella parte alta della distribuzione si fosse di recente accentuata, si sottostimerebbe non solo il livello della disuguaglianza ma anche la sua crescita. Analogamente, una condizione di povertà sempre più accentuata che portasse a fenomeni gravi di esclusione sociale e disagio materiale sarebbe difficilmente colta da un’indagine basata su interviste a un campione di famiglie.
Al riguardo viene in ausilio l’indagine 2020 sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia che ha proposto una nuova modalità per selezionare il campione utilizzando anche informazioni su reddito e indebitamento, migliorando così la capacità di rilevare i segmenti “estremi” della popolazione.
Con i tradizionali pesi di riporto all’universo degli intervistati il coefficiente di Gini nel 2020 era pari a 0,333 ma con la nuova metodologia esso è considerevolmente più alto: 0,395.
Essendo applicata soltanto al 2020, la nuova metodologia non consente di conoscere la tendenza del coefficiente di Gini, ma altri dati, di natura amministrativa, seppur distorti dalle possibili dinamiche di evasione e elusione fiscale, segnalano come in Italia nel corso degli ultimi decenni sia cresciuta la quota di reddito appropriata da chi si situa nella parte alta e altissima della distribuzione.
Esprimersi sulle tendenze della disuguaglianza senza poter tenere conto con precisione di quello che accade nei segmenti estremi della distribuzione è, dunque, quanto meno rischioso e anche per questo l’argomento delle tendenze non dovrebbe essere decisivo per prendere posizione rispetto alla disuguaglianza.
Altri argomenti, quali le determinanti della disuguaglianza di reddito e la capacità del reddito disponibile di cogliere appieno il benessere delle famiglie, per esempio con le spese dei beni essenziali, sono a nostro parere, più rilevanti e li illustreremo nei successivi articoli.
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