- Il rischio concreto per le opere del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono i cantieri infiniti e costi molto maggiori del previsto.
- Il problema sta anche nella selezione delle opere fatta inizialmente e delegata ai percettori dei fondi.
- Dal punto di vista ambientale gli impatti rischiano di essere poco rilevanti o addirittura negativi
Il governo Meloni ha segnalato ripetutamente sia che il Pnrr è in ritardo, e che forse le scelte su cui si fonda sono datate, anche per eventi sopravvenuti come la guerra in Ucraina e l’inflazione.
Nel settore delle grandi infrastrutture, dominato da quelle ferroviarie, i motivi di una riflessione in effetti paiono numerosi e solidi.
Iniziamo da quelli più oggettivi: l’inflazione rischia comunque di richiedere molte più risorse per completare quanto ci si è impegnati a fare, e se non provengono dall’Europa dovranno provenire dall’erario, in quanto questi investimenti, al contrario di altri, sono interamente a carico delle casse pubbliche.
E qui emerge un rischio molto reale: i cantieri infiniti. Se terminati i fondi europei occorra che provveda lo stato, lo scenario di finanziamenti a singhiozzo («quando ci sono i soldi») è davvero molto verosimile, e non solo per inefficienza: non sembra affatto che a fine periodo Pnrr (cioè dopo il 2026) saremo liberi da stretti vincoli di bilancio, con un rapporto debito/Pil intorno al 150 per cento. Altre esigenze sociali premeranno.
I cantieri che non si chiudono determinano rilevantissimi aumenti di costo, perché le attività non si possono interrompere totalmente: il personale è tutelato, macchinari e materie prime generano costi di ammortamento ecc.. C’è una vastissima letteratura su questi extracosti, che non affliggono solo l’Italia, e che, per inciso, renderebbero negativa qualsiasi analisi costi-benefici.
Valutazioni frettolose e poco difendibili
Ci si potrebbe limitare a realizzare solo una parte delle opere previste? In parte, ma per esempio non per la maggiore, il raddoppio ad alta velocità della linea Salerno-Reggio Calabria, dal costo previsto intorno ai 22 miliardi, e di molto dubbia utilità anche se terminata. Interromperla a Praja a mare (il primo lotto nella fasatura attuale prevista per l’opera) la renderebbe una cattedrale nel deserto, anche perché il ministero ha interpretato una norma in sé sensata, quella dei lotti funzionali anziché costruttivi, in modo molto “creativo”: certo non è possibile terminare un’opera in aperta campagna, deve appunto essere funzionale, ma terminarlo in un centro minore non è cosa molto diversa. E questo potrebbe ripetersi per molte opere.
Venendo ora ad argomenti più di merito alla scelta delle opere, non si può dimenticare che le valutazioni sono state affidate, a valle di una decisione data per già presa, a un soggetto, Ferrovie dello Stato, che è il percettore netto del 100 per cento dei fondi, cioè in conflitto di interessi.
Inoltre, si tratta di opere capital intensive, con un contenuto occupazionale per euro speso ridotto, e contenuti di innovazione tecnologica assenti.
Impatti ambientali scarsi
Ma un altro aspetto di merito molto importante concerne l’ambiente. Si tratta di opere che vedono prospettive di cambio modale, soprattutto tra strada e ferrovia, potenzialmente vantaggiose per l’ambiente. Tuttavia, entrano in esercizio nel lungo periodo, quando, a meno di fallimento totale delle politiche ambientali europee, le emissioni del modo stradale saranno radicalmente ridotte (in realtà anche solo estrapolando i trend in atto).
E le emissioni di cantiere sono l’altra faccia della medaglia: un decennio di operazioni di macchine per il movimento terra e l’impiego di materiali energivori quali ferro e cemento non possono lasciare molti dubbi. In Spagna tali emissioni, è stato calcolato, hanno reso il saldo ambientale negativo per più di un terzo della loro rete AV, quella con meno traffico. La situazione potrebbe ripetersi per alcune linee, e i nostri calcoli sembrano mostrare costi di abbattimento per unità di emissione estremamente alti, ben al di sopra delle già alte soglie europee.
Veramente strano che Fsi non abbia ritenuto nemmeno necessario di dover calcolare le emissioni da cantiere.
In breve, l’efficienza ambientale di questi investimenti, se non negativa, sembra davvero molto modesta, e questo anche a motivo delle modeste previsioni di traffico per molte opere.
Un ulteriore aspetto di merito riguarda i contenuti distributivi di opere per loro natura destinati a spostamenti, per il traffico passeggeri, su distanze medio-lunghe, che sono quelli meno frequenti per le categorie a basso reddito, sia di lavoratori che di studenti. Sarebbe opportuno uno spostamento di risorse in favore di servizi e infrastrutture locali per gli spostamenti di tipo pendolare.
Infine, non meno importante appare la fretta implicita in un programma di opere già in ritardo, e che si decidesse di mantenere invariato: il settore è già per sua natura poco aperto alla concorrenza, e quella fretta genererebbe fortissime pressioni per affidamenti diretti o comunque molto accelerati. Come evitare derive clientelari o peggio?
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