Alla voce sanità, il copione della campagna elettorale di Giorgia Meloni prevede una risposta fissa. «Nessun taglio, anzi il nostro governo ha aumentato coma mai prima la spesa destinata alla salute pubblica». Parole a cui segue, di norma, una serie di cifre che dimostrerebbero l’impegno dell’esecutivo su questo specifico fronte. Numeri contestati dall’opposizione e da gran parte degli analisti, che segnalano come gli stanziamenti supplementari vantati da Meloni per i 2024, in parte assorbiti dalla crescita dell’inflazione, derivano per il resto dallo spostamento dal 2023 a quest’anno degli oneri per il rinnovo del contratto del personale.

Adesso però tocca alla Banca d’Italia smontare la retorica della presidente del Consiglio. Nella relazione che, come ogni anno, accompagna le Considerazioni finali del governatore, l’ufficio studi dell’istituto guidato da Fabio Panetta ha dedicato alcune pagine all’analisi della spesa pubblica, scomposta per capitoli e confrontata con quella dei principali partener dell’Unione europea.

I numeri di Bankitalia

Ebbene, dai dati elaborati da Bankitalia, emerge che nella classifica della spesa sanitaria in rapporto al Pil, l’Italia insegue a grande distanza Francia e Germania. Nel dettaglio, il nostro paese viaggia intorno al 6,9 per cento del Pil, contro l’8,8 per cento di Parigi e l’8,3 per cento tedesco. La Spagna invece si ferma al 6,6 per cento, lo 0,3 per cento in meno rispetto al dato italiano.

I numeri pubblicati da Bankitalia si riferiscono al 2022, ma visto che nel primo anno del governo Meloni il capitolo sanità si è addirittura ristretto in rapporto al Pil, calando a quota 6,3 per cento, il divario con Francia e Germania si è nel frattempo quasi certamente allargato.

Per il futuro le cose non vanno granché meglio, anzi. Le tabelle del Def (Documento di economia e finanza) licenziato dal governo ad aprile tracciano una linea in lieve discesa per la spesa sanitaria. Nel 2025 non si andrà oltre il 6,3 per cento del Pil, lo stesso nel 2026, mentre nel 2027 è previsto un calo fino a quota 6,2 per cento.

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Di questo passo, insomma, non c’è luce in fondo al tunnel. Gli italiani costretti a rivolgersi agli ospedali privati per esami, accertamenti e interventi urgenti sono destinati ad aumentare ancora, in parallelo con l’incremento dell’età media della popolazione che fa crescere la necessità di cure.

In quest’ottica, ben poco potrà fare l’annunciato stanziamento di qualche centinaio di milioni per il provvedimento battezzato “anti liste d’attesa” che il governo potrebbe varare già oggi, martedì 4 giugno, giusto in tempo per sfruttare l’effetto annuncio in vista delle elezioni di domenica.

Per altro, resta da capire come in concreto verrà finanziato il decreto. Il rischio è che le risorse vengano prelevate dal già sofferente Fondo sanitario. In questo caso non ci sarebbe nessun stanziamento aggiuntivo e tutto si risolverebbe in una semplice partita di giro.

I numeri «non sono un’opinione», ha scandito un mese fa la presidente del Consiglio ospite in tv da Bruno Vespa nel tentativo di smontare le critiche.

In realtà proprio i numeri pubblicati nella relazione di Bankitalia confermano che non c’è stato nessun “effetto Meloni” sulla politica sanitaria. “Tra il 2008 e il 2019 la spesa è rimasta stabile in rapporto al Pil”, si legge nel rapporto a cura dell’ufficio studi di via Nazionale. In Germania e in Francia invece si è registrato un aumento di 0,7 punti percentuali, mentre la Spagna ha seguito il trend italiano: nessun aumento.

La scuola soffre

La sanità non è l’unico capitolo di spesa che vede il nostro paese costretto a rincorrere il resto d’Europa o perlomeno gli Stati più grandi.

I fondi destinati all’istruzione, segnala la Banca d’Italia, si sono addirittura ridotti dello 0,2 per cento in rapporto al Pil tra il 2008 e il 2019. In questo caso, però, il dato nostrano è uguale a quello francese e spagnolo, che segna meno 0,2 per cento. La stesa cifra, ma in positivo, registrata in Germania.

Nel 2022, si legge nella relazione, l’Italia resta comunque distante dai partner europei per quanto riguarda la spesa per l’istruzione, che non va oltre il 4,6 per cento del Pil, un dato molto inferiore a quello della media registrata nell’area dell’euro, pari al 5,2 per cento, mentre in Francia di arriva al 5,9 per cento e in Spagna al 5,2 per cento.

Il divario, spiega la relazione, “riguarda soprattutto la spesa per l’istruzione terziaria”, cioè quella di livello universitario o para universitario, successiva alla scuola superiore. Qui l’Italia non va oltre lo 0,3 per cento del Pil contro lo 0,4 per cento dell’area euro.

Una situazione che si traduce in un ‘ipoteca pesante sulle possibilità di crescita dell’Italia, che sconta, come ha segnalato il governatore Panetta venerdì scorso nelle sue Considerazioni finali, un “ritardo rispetto a molti paesi avanzati nelle competenze lavorative di giovani e adulti”.

Diventa quindi più che mai urgente investire nel capitale umano, con fondi supplementari in istruzione e ricerca. Questa però, al pari della sanità, non sembra una priorità per il governo Meloni.

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