- Sulla legge di Bilancio si è palesato un problema: la mancanza di una regia. Nessuno riesce a dare risposte addirittura ai parlamentari della maggioranza.
- La responsabilità della situazione conduce al ministero dell’Economia, dove siede Giancarlo Giorgetti. Da ministro politico si muove da puro contabile: non si sforza di reperire le risorse.
- Surreali alcuni comportamenti, dal condono penale, che sembrava scartato e invece è stato in ballo fino all’ultimo, alla questione dei pagamenti con il pos, per cui la maggioranza rischiava di bocciare sé stessa.
Un ministro dell’Economia impalpabile, dei sottosegretari poco risoluti, che di fronte alle sollecitazioni si limitano ad alzare le braccia al cielo nell’attesa che altrove vengano date indicazioni precise. E dei relatori impotenti, in balia degli eventi.
Così passano i giorni e nessuno detta la linea su una manovra che, come era noto vista la data delle elezioni, avrebbe richiesto nervi saldi e idee chiare. Invece ha prevalso una grande incertezza, a causa dell’assenza di un metodo di lavoro lineare. Sulla legge di Bilancio si è infatti palesato un problema: la mancanza di una regia.
Rischio esercizio provvisorio
Nessuno riesce a dare risposte addirittura ai parlamentari della maggioranza, in una navigazione a vista che rischia di condurre verso l’esercizio provvisorio.
L’ultimo caso è quello del condono penale per i reati fiscali, su cui si oscilla come un pendolo. Pochi giorni fa sembrava un’ipotesi plausibile, sospinta dal viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto. Poi era stata accantonata e infine, nelle ultime ore, è tornata in pista, tanto da richiedere un supplemento di riflessione. Il responso finale, almeno così parrebbe, è stato però di non inserire questa proposta nella manovra. Resta un mistero il motivo di tanto caos.
Mef dormiente
La responsabilità della situazione ingovernabile conduce principalmente a via XX Settembre, nella sede del ministero dell’Economia guidata da Giancarlo Giorgetti, voluto in quel ruolo per la sua impronta politica ma che si sta limitando a svolgere il proprio mandato come fare il più tecnico dei tecnici: se mancano le risorse non cerca strade per reperirle. Da mero contabile si limita a sottolineare che non ci sono le coperture. Ma dovrebbe essere lui a individuarle.
Imperscrutabili anche le sue opinioni sui temi in agenda. Un esempio? Sul condono penale, nel fine settimana, aveva garantito che non ci sarebbe stato nella manovra. Tuttavia, se non fosse stata per la reazione di Pd e Movimento 5 stelle, la proposta sarebbe stata infilata tra gli emendamenti dei relatori. Smentendo la sua smentita, in un gioco di specchi.
Far passare la tempesta
Sempre nello stesso ministero, come sottosegretario, c’è un altro leghista, Federico Freni, che si immaginava dovesse essere l’uomo dei dossier delicati, chiamato a risolvere le grane per conto di Giorgetti.
Sul punto i due sono allineati: attendono che passi la tempesta, limitandosi a dire che tocca al parlamento assumere delle decisioni. Solo che, per le divisioni interne ai partiti di maggioranza, i lavori in commissione Bilancio alla Camera sono andati avanti a singhiozzo, tra sedute notturne infruttuose e zero emendamenti approvati fino al tardo pomeriggio di ieri.
Pur volendo, il parlamento non ha avuto modo di esprimersi. Molte proposte delle opposizioni non sono nemmeno state bocciate ai voti, ma sono state accantonate.
Governo non pronto
Non è esente da responsabilità nemmeno la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in campagna elettorale ha voluto usare lo slogan «pronti», dimostrando che, alla prova dei fatti, non è così.
Al suo fianco è mancato l’apporto del sottosegretario, Alfredo Mantovano, conoscitore delle alchimie legate a una legge di Bilancio. Inizialmente, secondo le indiscrezioni, doveva essere l’occhio della premier sulla manovra economica. A conti fatti c’è stata un bel po’ di miopia.
L’elenco delle situazioni clamorose è lungo, in cima spicca la “vicenda pos”, con la soglia dei pagamenti contanti che è gradualmente scesa fino alla decisione di non intervenire. E dire che in commissione Bilancio si poteva arrivare al grottesco: se non fosse stato chiesto l’accantonamento, la maggioranza sarebbe stata pronta a bocciare un emendamento di Marco Grimaldi, deputato di Alleanza verdi-sinistra, che puntava proprio nella direzione scelta dalla maggioranza, lasciare tutto come adesso. Cioè Lega, FI e FdI erano pronti a bocciare sé stessi.
Così come è stata da capogiro il dibattito sulla misura “salva-calcio”. Immaginata per il decreto Aiuti quater in via di conversione al Senato, poi diventata un’opzione per la legge di Bilancio. Tra un passo avanti e un passo indietro, la storia è diventata una scuola di danza.
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