- La vendita a giorni di Ita Airways alla tedesca Lufthansa o ad Air France segna la fine di un ventennio travagliato durante il quale per il trasporto aereo italiano la politica e i manager hanno dato il peggio di sé
- Per preparare la vendita la compagnia di Fiumicino è stata sottoposta a una cura da cavallo con costi economici altissimi per la collettività sotto forma di aiuti a perdere e ammortizzatori sociali per migliaia di lavoratori
- Mentre si conclude la vendita di Ita resta in attività l’amministrazione straordinaria della vecchia Alitalia per la quale in cinque anni i contribuenti hanno dovuto sborsare quasi 3 miliardi di euro e il governo Draghi ha dovuto corregge una norma voluta da Di Maio per far rimborsare prima lo stato dei creditori privati
Finirà come era ampiamente previsto finisse: Ita Airways, la compagnia che dal 15 ottobre dell’anno passato ha preso il posto di Alitalia, sarà venduta con la fine di agosto (per l’offerta vincolante la scadenza è il 22 del mese) e si compirà così un altro pezzo della profezia de Palacio, nel senso di Loyola de Palacio, l’ex vice presidente spagnola della Commissione europea, la quale all’inizio del millennio aveva predetto che nel continente sarebbero rimaste in vita due, tre grandi compagnie aeree al massimo e tutte le altre avrebbero dovuto rassegnarsi.
Alitalia e Ita hanno provato a sfidare per quasi un ventennio in maniera più o meno raffazzonata e caotica la profezia de Palacio, e questa resistenza è costata un fiume di denaro ai contribuenti. Ora, però, siamo agli sgoccioli dopo che il 4 agosto il capo dimissionario del governo, Mario Draghi, ha sciolto l’ultima incognita rimasta, e cioè se la faccenda della vendita fosse ancora prerogativa dell’esecutivo uscente o se invece sarebbe stata lasciata in eredità al prossimo dopo il voto del 25 settembre. Draghi ha detto chiaro che sarà lui a chiudere la partita e quindi ora c’è solo da attendere la comunicazione ufficiale.
Con la vendita di Ita finisce la lunga stagione del trasporto aereo con il marchio tricolore perché è del tutto evidente che da ora in poi sarà una compagnia straniera a menare le danze in Italia, cioè a occupare anche quella parte restante del mercato non ancora presidiata da Ryanair.
Nel caso assai probabile questa società estera sia Lufthansa è ovvio che tratterà Ita come una controllata, un’azienda ancillare destinata a uniformarsi alle esigenze industriali della casa madre mentre sarà di fatto Msc di Gianluigi Aponte ad avere l’ultima parola sulle grandi scelte e le strategie. La fine della compagnia di bandiera in versione Alitalia e poi Ita non consegna un buon ricordo, anzi, lascia macerie in Italia e un comparto industriale, quello del trasporto aereo, praticamente distrutto.
Amministrazione straordinaria
Fallita di nuovo nel 2017 per la terza volta in un decennio, Alitalia è stata messa in amministrazione straordinaria, in una condizione lontana dai riflettori che però durerà chissà quanto. Di recente il governo con un articolo del cosiddetto decreto Aiuti bis ha ribadito che lo stato è il creditore privilegiato di Alitalia correggendo ciò che aveva stabilito Luigi Di Maio quando era ministro dello Sviluppo economico e riaffermando che gli eventuali proventi ottenuti dall’amministrazione straordinaria dovranno essere versati prima di tutto nelle casse pubbliche e solo dopo ai creditori privati, tra cui Eni, Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Ma i debiti contratti con la stato dalla vecchia compagnia di bandiera sono così ingenti che risulta assai improbabile possano essere ripianati. Si tratta di 1 miliardo e 300 milioni di prestiti ottenuti in due tranche quando ministri dello Sviluppo economico erano nell’ordine Carlo Calenda e Stefano Patuanelli. Più altre decine di milioni avuti per attenuare gli effetti economici del Covid e infine un altro miliardo e mezzo circa di costi sostenuti dall’Inps e dal Fondo del trasporto aereo per le casse integrazioni di migliaia di dipendenti e per la copertura con contributi figurativi dei mancati versamenti previdenziali.
Nell’attesa forse vana che questi soldi o almeno una parte di essi tornino nelle casse pubbliche, Alitalia in amministrazione straordinaria potrà disporre fino alla fine dell’anno delle risorse necessarie per una serie di adempimenti: prima di tutto per tenere ancora aperto il rubinetto degli ammortizzatori sociali, poi per chiudere la partita del rimborso dei biglietti venduti tuttora da definire dopo anni e infine per aggiornare l’addestramento dei piloti non passati a Ita così da permettere loro di non perdere il preziosissimo brevetto di volo.
Nella partita doppia di Alitalia ci sono anche le entrate, ovviamente, a cui contribuisce anche Ita che per la manutenzione degli aerei deve rivolgersi alla vecchia compagnia madre pagandola, almeno fino a quando anche questa attività non sarà ceduta dall’amministrazione straordinaria con molta probabilità alla napoletana Atitech di Gianni Lettieri.
L’handling, invece, è già stato venduto a Swissport di cui Alitalia è diventata una sorta di agenzia interinale per la fornitura in aggiunta ai circa 2.400 lavoratori assunti in pianta stabile di altri a chiamata in base alle variabili esigenze del mercato e in primo luogo in funzione di quelle di Ita.
Profezia de Palacio
La tedesca Lufthansa è una delle due compagnie sopravvissute alla profezia de Palacio, anche se non entrerà in Ita da padrona, ma insieme alla mastodontica compagnia di navigazione Msc. Alla fine il vero nuovo padrone della compagnia italiana non sarà l’azienda tedesca dei voli, ma la Msc che di Ita avrà il 60 per cento del capitale, mentre Lufthansa solo il 20 mentre l’altro 20 resterà di proprietà del ministero dell’Economia. Lufthansa ha tutta l’aria di essere solo il partner industriale dell’operazione, senza dubbio importante, ma in una posizione secondaria.
Le altre compagnie rimaste in piedi da protagoniste sono Air France e British Airways. Quest’ultima dopo la Brexit non è più nemmeno una società europea in senso stretto, mentre Air France ha provato a sbarrare la strada ai tedeschi alleandosi con la statunitense Delta Airlines e con il fondo americano Certares senza però riuscire a dare l’impressione che volesse davvero fare sul serio.
Le offerte delle due cordate sono al vaglio del ministro dell’Economia Daniele Franco che deve scegliere tra quella Lufthansa-Msc che appare più solida industrialmente e economicamente ricca (850 milioni di euro contro 600 circa) e quella Air France-Delta Certares che si presenta più promettente per lo sviluppo dello scalo di Fiumicino e i collegamenti con il nord America. La presenza delle due offerte ha acuito lo scontro al vertice di Ita tra il presidente, Alfredo Altavilla, favorevole a Lufthansa e l’amministratore delegato, Fabio Lazzerini, che ha fatto il tifo per i francesi. La litigiosa incompatibilità al vertice tra amministratore e presidente è stata una delle tante cause che hanno impedito a Ita di decollare.
Fin dall’inizio, nell’autunno di un anno fa, è stato subito chiaro che la nuova azienda non ce l’avrebbe mai fatta da sola nonostante la propaganda martellasse sulla tesi opposta. In questi mesi Ita è stata rimpicciolita a misura di vendita: la flotta di Alitalia che contava su 104 aerei è stata dimezzata e solo negli ultimi tempi il numero dei jet è salito a 67. Tagliato anche il numero dei dipendenti da oltre 10 mila a un terzo, circa 3.300 persone, e in più la vecchia azienda è stata privata di due pilastri, la manutenzione l’handling, così come voleva Lufthansa.
Risultati modesti
I risultati economici ottenuti sono più che modesti nonostante la dotazione straordinaria ricevuta dallo stato di 750 milioni di euro con la possibilità di farli diventare addirittura 1 miliardo e 350 milioni. Per un lungo periodo Ita ha perduto circa 2 milioni di euro al giorno, cioè quanto Alitalia che però aveva una flotta doppia.
La stagione estiva e la ripresa caotica dei voli hanno mitigato il passivo e ora le cose vanno un po’ meglio, ma l’azienda è tutt’altro che florida e risanata. E’ di questo ectoplasma che Lufthansa prende la guida insieme a Msc ed è evidente che la compagnia tedesca non è interessata a quella italiana in quanto tale, ma ai suoi slot (diritti di atterraggio e decollo) e al mercato, soprattutto quello del lungo raggio con l’obiettivo di trasferirlo verso l’hub di Francoforte.
La collocazione internazionale di Msc è incerta. Nel senso che la sede ufficiale del gruppo è senz’altro in Svizzera, ma a lungo il proprietario Aponte, che è nato in Italia a Sant’Agnello sulla costiera sorrentina, ha dato l’impressione di aver scelto la Francia come patria ideale per coltivare i suoi affari mondiali grazie anche ai buoni uffici di un parente, Alexis Kohler, un alto funzionario statale fino a non molto tempo fa segretario del presidente Emmanuel Macron. Solo di recente Aponte è tornato a guardare all’Italia come paese in cui investire dopo avergli voltato le spalle molti anni fa.
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