Il discorso europeista del governatore della Banca d’Italia deve essere risultato sgradito al governo. Panetta ha richiamato l’attenzione sul debito pubblico, con gli interessi passivi che pesano ormai quasi la spesa per l’istruzione. Servirebbe una politica fiscale adeguata ma il governo coccola gli evasori (il cui vero nome è quello di ladri)
Il governatore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, ha parlato al Meeting di CL, dipingendo un quadro certo sgradito al governo di Giorgia Meloni, che a quel posto l'ha voluto e ora tace, forse più per dispetto che per rispetto.
Il discorso è un bel peana alla Ue, al cui vertice Meloni è da sempre contraria. Per Panetta va perseguita l'integrazione europea, rallentata invece per “spinte nazionalistiche”. Va rilanciata la crescita, che evidentemente non è brillante come si dice. Inoltre urgono misure per favorire “l'afflusso di lavoratori stranieri regolari”, rafforzando la loro integrazione nell'istruzione e nel mercato del lavoro.
Il macigno del debito
Data l'ingente necessità d'investimento in beni pubblici, affrontabili solo a livello della Ue, serve anche una capacità fiscale comune. Panetta ha insistito sul peso del debito pubblico che, nonostante il Pnrr, riduce gli investimenti pubblici italiani ai minimi termini, tenuto conto degli ammortamenti; gli interessi passivi, avviati verso i 100 miliardi annui, sono vicini alla spesa per l’istruzione.
Bisogna puntare, ha detto il governatore, «alla stabilità e al graduale conseguimento di avanzi primari adeguati… La crescita resta l’obiettivo fondamentale per l’Italia, ma… dobbiamo affrontare con decisione i problemi strutturali irrisolti… rafforzare la concorrenza, potenziare il capitale umano, accrescere la produttività del lavoro, aumentare l’occupazione di giovani e donne, definire politiche migratorie adeguate».
Capitale umano
Chi deve perseguire tali obiettivi? Rafforzare la concorrenza e adeguare le politiche migratorie spetta al governo, attivo però in senso contrario; a parte balneari e tassisti, si vedano i gravi ritardi per la legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere annuale ma sempre tarda.
La spesa per il capitale umano non turba i sonni della maggioranza. Le imprese, che Meloni non vuole disturbare, evidentemente non valutano abbastanza le competenze di giovani formati qui che se ne vanno all'estero, la migrazione più preoccupante.
L'aumento della produttività, da cui alla fine tutto dipende (Krugman docet) significa che cresce il prodotto per ora lavorata. Non serve perciò spremere i dipendenti, ma che le imprese investano per elevare la qualità di prodotti e servizi. Molte lo fanno, coraggiose e competitive, ma sono ancora poche, spesso piccole. Non bastano a farci marciare veloci come i concorrenti.
Anche la politica di bilancio spetta al governo, che non si mostra intenzionato a risanare i conti. Il debito pubblico non è colpa di Meloni, pur se i suoi partner, Forza Italia e Lega, ne sono stati i massimi artefici dal 2001 in poi. Oggi dovrebbe lei ridurre il debito sul Pil, ma vuol lasciarlo crescere ancora, per mantenere qualche stolida promessa agli elettori.
Panetta non ha trattato il tema fiscale, essenziale per risanare il bilancio, ma Meloni va in direzione opposta a quella di avanzi primari adeguati. Si veda la martellante comunicazione di un governo mirante alla “pace fiscale”. Si coccola chi non paga le imposte, che negli Stati seri è chiamato ladro.
Largo agli evasori
La poca azione è coerente con la comunicazione, dal concordato preventivo biennale alle direttive per scovare i ladri; ci si concentrerà sulla “grande evasione”, oltre i 70 mila euro. Tranquilli, tanti “piccoli” ladri, nessuno vi molesterà, ricordatelo al voto.
Sull'autonomia regionale differenziata Banca d'Italia ha ben parlato in audizione, speriamo faccia altrettanto sul bilancio e sugli sforzi per ampliare la “flat tax”, iniquissima perché tassa molto meno gli autonomi di dipendenti e pensionati, quasi soli ad essere tassati sul reddito. È anche economicamente errata: incentiva l'evasione per non varcare le soglie e scoraggia la crescita.
Panetta lo sa bene, della necessaria capacità fiscale europea non si parlerà finché resteremo, col fardello del nostro debito, “paradiso fiscale” per un vasto ceto che utilizza, disprezzandoli, servizi pubblici – sanità, sicurezza, istruzione, perfino previdenza – al cui costo si rifiuta di partecipare. E l'integrazione non progredirà se l'Italia vuole mantenere il potere di veto di ogni Stato.
Sempre più Roma frena l'integrazione e la crescita nella Ue, specie per lo sbilanciato rapporto debito /Pil; non è l'unico, nemmeno il principale indicatore, ma è quello da tutti più scrutato.
Solo una ben dosata crescita che risani i conti e usi lo spazio risultante per investire può riassorbire il debito.
Gli occhi della nocchiera guardano purtroppo altrove; bene ha fatto Panetta, a rilevarlo, seppur con parole forse un po' troppo vellutate.
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