- Il reddito di cittadinanza non ha alcun meccanismo di indicizzazione all’inflazione stimata per quest’anno al 12.8 per cento, né nell’ammontare dell’assegno, né nella soglia di reddito che deve essere rispettata per ottenere il beneficio.
- Il risultato è che se i beneficiari ottenessero un aumento del loro reddito per contrastare l’inflazione rischiano di perdere l’assegno, il cui valore è già diminuito del due per cento nel 2021, e con l’inflazione di quest’anno può arrivare a essere svalutato di quasi il 15 per cento.
- L’inflazione inoltre di per sé batte più sui consumi delle famiglie a basso reddito come i beneficiari del reddito di cittadinanza. Il silenzio, in casi come questi, è il più prezioso alleato dei sostenitori dell’idea che la povertà è meritata.
Sembra che tra i numerosi effetti negativi che l’inflazione può generare uno sia sfuggito, più o meno consapevolmente, a tutti. Ed è un effetto che, al di là delle dichiarazioni più o meno confuse di riforma, ridimensionamento o abolizione del reddito di cittadinanza, ha già realizzato una sorta di riforma, ben poco illuminata. Infatti la mancata indicizzazione del sussidio all’aumento dei prezzi ha fatto sì che con l’inflazione sia entrato silenziosamente in vigore un inasprimento delle condizioni di accesso al reddito di cittadinanza e un taglio automatico – e forte – al potere d’acquisto del sussidio. Insomma, una regressione nella generosità di quell’istituto di cui l’unico beneficiario è il bilancio pubblico.
Esaminiamo più accuratamente cosa sta accadendo. Sia le soglie di accesso al reddito (in particolare il requisito di un reddito annuo equivalente inferiore, nel caso di un nucleo familiare con un solo componente, ai 6 mila euro) sia gli importi del sussidio (dati dalla differenza tra il reddito-soglia e il reddito familiare) sono stati stabiliti in termini nominali. Ora che l’inflazione si è presentata – e con violenza – emergono i problemi che pone questa scelta: sono problemi di depotenziamento dell’efficacia del reddito di cittadinanza come strumento di mitigazione della povertà e della sua equità.
L’effetto del reddito nominale
Storia di un ex percettore di reddito di cittadinanza ovvero di un eterno lavoratore in nero
Avere fissato in termini nominali il reddito-soglia per l’accesso al sussidio implica che molti non potranno varcare quella soglia verso il basso. Infatti, se il reddito nominale ad esempio, da lavoro o pensione anche di un solo membro del nucleo familiare cresce con l’inflazione il suo ammontare può eccedere la soglia, con esclusione dal reddito di cittadinanza.
Ciò può avvenire anche se in termini reali si è più poveri di prima e più poveri di chi in passato ha beneficiato del sussidio con un reddito nominale inferiore ma con un potere d’acquisto maggiore e, dunque, può essere considerato meno povero. Ma vi è un ulteriore e ovvio effetto che riguarda coloro che già percepiscono il reddito.
Si tratta del fatto che l’ammontare del sussidio è fisso in termini nominale e, dunque, il suo potere d’acquisto si riduce con l’inflazione che, su base annua, è prevista aumentare del 12,8 per cento nel 2022 in Italia. E qui si può ricordare che già alla fine del 2021 il reddito di cittadinanza aveva perso il 2,5 per cento del suo valore reale che aveva nel 2019, al momento della sua introduzione (e, naturalmente, di altrettanto era cambiato il valore reale dei requisiti di accesso).
L’inflazione colpisce più in basso
L’inflazione ha un ulteriore effetto, molto rilevante dal punto di vista dell’equità e della giustizia sociale. Come è ben noto, ad alimentare l’inflazione sono soprattutto i consumi energetici ed alimentari che assorbono una quota elevatissima del potere d’acquisto dei più poveri, i quali subiscono, di conseguenza, un peggioramento del tenore di vita proporzionalmente assai più grave di quello dei più agiati.
Dall’indagine sui consumi delle famiglie, condotta dall’Istat, risulta, ad esempio, che le spese energetiche assorbivano, prima dell’impennata dei prezzi, il 14 per cento della spesa delle famiglie del decile più povero e il 6 per cento di quelle più ricche. È quindi presumibile che l’inflazione effettiva (come detto, stimata, attualmente, al 12,8 per cento) sarà ben più gravosa per le famiglie più povere e, quindi, anche per quelle che beneficiano del reddito di cittadinanza, che resta invariato in termini nominali.
D’altro canto, questo crescente disagio dei poveri si traduce in un beneficio per il bilancio dello stato. La mancata indicizzazione ha, infatti, l’effetto automatico di ridurre il rapporto tra la spesa per il reddito di cittadinanza e il Pil a causa della diversa reattività del numeratore e del denominatore di quel rapporto all’inflazione. Ne conseguirà un beneficio per il bilancio pubblico ottenuto al costo di una crescente (e, per moltissimi, inconsapevole) ingiustizia sociale.
Non indicizzare i redditi minimi può essere un modo per dare corso a scelte politiche che aspirano a limitare l’impegno della società nel suo complesso verso i poveri, perché considerati immeritevoli o al massimo meritevoli di elemosine che con l’inflazione saranno sempre meno gravose per il resto della società. Ma si tratta di scelte politiche in netto contrasto con quanto avviene in quasi tutti i paesi e, anche nel nostro, per altri trasferimenti sociali.
L’eccezione dell’assegno ai poveri
Nella riforma del reddito l’incentivo al lavoro intermittente
Ad esempio, nessun governo, neanche quelli che hanno adottato severe politiche di austerità, ha pensato che le pensioni di importo più basso, pari ad almeno tre volte la minima, un valore ben superiore a quello del reddito di cittadinanza medio, potessero non essere indicizzate all’inflazione.
Anche le soglie relative all’importo dei sussidi di disoccupazione sono di solito aggiornate in base all’inflazione; e il valore di tutte le misure il cui importo è legato ai livelli retributivi, come i sussidi di disoccupazione e la cassa integrazione, tende a crescere con i salari nominali in una fase di alta inflazione. E l’istituto che più si avvicina nella logica al reddito di cittadinanza, l’assegno sociale, viene anch’esso rivisto annualmente in base all’andamento dell’ inflazione.
A conferma dell’anomalia della mancata indicizzazione delle regole relative al reddito di cittadinanza va rimarcato che quasi tutti i paesi Ue – nei quali, a differenza dell’Italia, misure di reddito minimo esistono da anni – prevedono forme di indicizzazione automatica all’inflazione – e, in alcuni casi, ai salari nominali - delle prestazioni e dei requisiti monetari. Le eccezioni sono paesi non proprio all’avanguardia per le caratteristiche dello stato sociale: Grecia, Estonia, Croazia, Ungheria e Irlanda.
In conclusione, la non indicizzazione all’inflazione del reddito ha conseguenze alle quali i difensori di questa misura dovrebbero prestare la massima attenzione, risvegliando anche la ‘voice’ di chi subisce quelle conseguenze.
Il silenzio, in casi come questi, è il più prezioso alleato dei sostenitori dell’idea che la povertà è meritata e permette loro di evitare anche il biasimo di chi non ha questa stessa idea ma non riesce a vedere le conseguenze che l’inflazione ha sulle misure in difesa dei più poveri.
© Riproduzione riservata