Palazzo Chigi ha chiesto ai vertici dell’azienda di attivare le procedure per l’amministrazione straordinaria. Il governo: «Siamo alla ricerca di partner per tutelare l’occupazione». Protestano le aziende dell’indotto
L’Ilva fa un altro passo verso l’amministrazione straordinaria e a questo punto, dopo settimane di trattative, ipotesi e speculazioni, l’esito della vicenda sembra ormai segnato. L’iter per l’avvio della procedura è già partito nella giornata di mercoledì, quando la società pubblica Invitalia - a oggi socio di minoranza con una quota del 38% - ha inviato una lettera a Lucia Morselli all'amministratore delegato di Acciaierie d'Italia (che gestisce l’impianto di Taranto) per chiedere la verifica dei presupposti per avviare l’amministrazione straordinaria. La notizia, anticipata da fondi sindacali al termine dell’incontro con i rappresentanti del governo, è stata poi confermata da Palazzo Chigi, che in una nota ha precisato che la fase di amministrazione straordinaria sarà “temporanea e che l’esecutivo è alla ricerca dei migliori partner privati con l’obiettivo di salvaguardare l’occupazione”.
Ultimatum a Mittal
Morselli, l’amministratrice delegata espressione di ArcelorMittal, che ancora controlla la quota di maggioranza dell’azienda, adesso ha 14 giorni di tempo per rispondere. In caso contrario, Invitalia potrà chiedere al Ministero delle Imprese di attivare l'amministrazione straordinaria, che fonti governative promettono avrà effetto immediato. I consulenti giuridici dell’esecutivo sono già al lavoro per formulare i correttivi alle norme vigenti sulla procedura con l’obiettivo di tutelare lavoratori e creditori dell’azienda, garantendo la soddisfazione dei crediti e la continuità della produzione durante la procedura concorsuale. Ma su questo aspetto regna ancora grande incertezza. Va ricordato che con il commissariamento dell’azienda verrebbero a cadere le pretese dei creditori, dai fornitori dell’indotto fino alle grandi imprese che forniscono energia, come Snam.
Di fatto, in questa prima fase sarà lo Stato a prendere il controllo di Ilva, in attesa che venga trovato un investitore privato e in prima fila ci sarebbe un operatore del settore del calibro di Arvedi.
Mossa su Eni?
Le manovre del governo tra le imprese a partecipazione pubblica non si esauriscono con l’Iva, Secondo quanto rivelato dall’agenzia di stampa Bloomberg, il ministro dell’economia sarebbe pronto a cedere il Borsa un pacchetto del 4 per cento di Eni. Il valore della quota, in base alla quotazione corrente del gruppo ammonta a circa 2 miliardi di euro. Il collocamento potrebbe andare in scena a partire da aprile, quando la società guidata da Claudio Descalzi avrà completato il piano di riacquisto di azioni proprie. L’eventuale cessione di titoli Eni si inserisce nel piano di privatizzazioni annunciato dal governo in autunno, che nelle ambizioni del Mef dovrebbe fruttare una cifra vicina ai 20 miliardi di euro, pari all’uno per cento circa del Pil nazionale. A novembre è stato venduto il 25 per cento del Monte dei Paschi di Siena, con un incasso di 920 milioni e ora il Tesoro sta studiando la possibilità di nuove cessioni. L’operazione ipotizzata su Eni è una di queste così come potrebbe essere valutata anche la vendita di un pacchetto di Poste italiane, di cui il Mef possiede direttamente il 30 per cento a cui si aggiunge un altro 35 per cento in portafoglio a cassa depositi e prestiti.
A Taranto, però, almeno per il momento il governo si muove in direzione opposta a quella delle privatizzazioni. E adesso, se davvero partirà l’amministrazione straordinaria, la seconda in meno di dieci anni per il gruppo siderurgico, dovrà essere gestita la complessa fase della transizione dell’acciaieria verso i privati, visto che l’intervento pubblico è annunciato come temporaneo.
Indotto a rischio
Nel corso dell’incontro il governo avrebbe rassicurato i sindacati. L'esecutivo infatti starebbe infatti pensando di fornire liquidità con prestiti di durata quinquennale e di utilizzare i 320 milioni previsti in un primo momento per l’aumento di capitale, mai sottoscritto da Arcelor Mittal, che non ha voluto accettare la condizione di socio di minoranza, facendo saltare il tavolo e rendendo inevitabile il commissariamento.
Il governo ha poi confermato l'interesse a nuovi soci industriali ''autorevoli'' per il rilancio dell'azienda, ma ha chiarito che prima di intavolare ogni trattativa bisognerà definire la situazione con Mittal.
Chi non si sente affatto rassicurato dalle iniziative del governo Meloni sono i lavoratori dell’indotto, che a partire dalle 6 di ieri mattina hanno protestato di fronte ai cancelli dell’acciaieria, contro la possibilità che l’ex Ilva venga commissariata. Nel corso della protesta, che coinvolge le aziende che fanno capo ad Aigi (cui aderisce l'80% delle imprese dell'indotto ex Ilva), Casartigiani e Confapi Industria hanno presidiato i cancelli della fabbrica, annunciando la sospensione a oltranza di tutte le attività lavorative svolte dalle proprie associate all'interno dello stabilimento siderurgico di Taranto, non avendo avuto rassicurazioni sulla tutela dei crediti vantati nei confronti di Acciaierie d'Italia, precisando che «saranno garantite "esclusivamente le prestazioni attinenti la sicurezza degli impianti».
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