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Salvatore Gaziano, analista e consulente finanziario indipendente, fondatore di SoldiExpert SCF, risponde alle domande sulla Borsa e la vita e di finanza personale. Scrivete a lettori@editorialedomani.it
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Questa settimana si parla di società che attuano operazioni di scorporo di alcune attività. È il caso di Eni che nel 2002 vuole quotare la parte “green” ed Enel che sta pensando alla stessa cosa con Enel X.
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Un piccolo risparmiatore si interroga sulla logica di queste operazioni e se sia tutto verde quello che luccica. E se i titoli legati all’ambiente ed Esg sono da comprare a mani basse.
Ho letto che Eni e Enel intendono scorporare la parte “green” e quotarla in Borsa. Un numero impressionante di società stanno annunciando operazioni di scorporo. Sono operazioni interessanti e che creano valore come spiega il management di queste società? O meglio liberarsi di tutti i titoli “old energy” e puntare solo sui titoli “new”?
R.
Caro R.
Vi sono diverse ragioni in questo tipo di operazioni, fra cui anche il fatto che il modello “conglomerato” oggi non piace più ed è considerato un punto di debolezza. E poi vi è anche come seconda ragione (o prima secondo alcuni) quella di “estrarre valore” (così si dice nel gergo dei consulenti aziendali) da questo tipo di scorpori e anche fare un po’ l’occhiolino al mercato che sembra attratto da tutto ciò che è ecologico, rispettoso (almeno a parole) dell’ambiente e sostenibile valutando la parte “verde” o simil green con multipli maggiori.
Sul quotidiano Domani di mercoledì 8 dicembre spero non le sia sfuggita la bellissima analisi di Alessandro Penati sullo scorporo di Eni della parte “verde” proprio con la quotazione di Plenitude (questo il nome della società scissa) e alcune riflessioni sul tema.
Nel passato una società che operava in un’ampia varietà di attività offriva il vantaggio della diversificazione del rischio dove le perdite di alcuni venivano compensate dai profitti di altri rami di business. Ma oggi questa diversificazione è stigmatizzata e si va verso la focalizzazione.
Le ragioni? La mancanza di sinergie tra alcune divisioni e un’allocazione di risorse ritenuta inefficiente perché potrebbe essere destinata, a lungo termine, a settori non redditizi. Da qui la sottovalutazione di alcune società troppo diversificate e la comparsa di sconti strutturali, che smentiscono quel passo di Aristotele dove si diceva che «il tutto è più della somma delle sue parti».
Eni, Enel e le altre
In Italia Eni ha annunciato Plenitude, che dovrebbe essere quotata nel 2022, e dove conferirà la ex Eni gas e luce e le rinnovabili.
Dentro questa società ci sarà quindi la parte più “green” di Eni, ovvero produzione da rinnovabili, vendita di energia e servizi energetici a clienti retail, e una rete capillare di punti di ricarica per veicoli.
E anche Enel sta pensando a uno scorporo (spin-off) che potrebbe prendere la via della Borsa e riguarda Enel X, il braccio hi-tech di Enel che sta gestendo ancheEn lo sviluppo dei veicoli elettrici e la rete di stazioni di ricarica (oltre 13.000 a luglio 2021) su tutto il territorio nazionale.
Tra l’altro Enel, nel 2010, aveva scorporato le attività nelle rinnovabili con la creazione e quotazione di Enel green power e poi nel 2016 aveva fatto il percorso opposto.
Sono sempre più numerose le società che hanno annunciato, realizzato o sono in odore di scorpori nel mondo.
A inizio anno il gruppo franco-americano di servizi petroliferi TechnipFmc (che opera quindi nel campo di Saipem, controllata di Eni) ha finalizzato la scissione in due società leader del settore: TechnipFmc e Technip energies. E al mercato questo scorporo sembra proprio piaciuto con Technip energies che è balzata del 41 per cento.
Anche il colosso del petrolio Shell è pressato da alcuni azionisti per un cambiamento del suo modello di business.
Tutto bene? Basta scorporare per moltiplicare gli zecchini d’oro?
Dipende, perché non sempre tutto è bianco o nero ma il mondo, anche finanziario, è zeppo di zone grigie.
E come bene ha spiegato Alessandro Penati queste operazioni hanno spesso l’obiettivo di sfruttare le valutazioni superiori (e più che doppie) che oggi hanno le società considerate “green” e fare aumentare il valore complessivo dello spezzatino in Borsa.
Comprare green
Esg sta per Environmental, social and governance e questo acronimo è diventato parte integrante del mondo della finanza. Secondo un’analisi di Broadridge financial solutions, la quota di investimenti Esg a livello mondiale aumenterà da 8 trilioni di dollari di oggi a 30 trilioni di dollari entro la fine del decennio.
Ma le valutazioni del mercato possono anche cambiare nel tempo e gli investitori che sono guidati esclusivamente da considerazioni ecologiche possono correre il rischio anche di acquistare azioni sopravvalutate.
Lo scorso anno società specializzate nelle energie rinnovabili come, per esempio, Vestas e Siemens Gamesa sono salite in Borsa di oltre il 100 per cento. Tutto quanto considerato green era comprato a qualsiasi prezzo. Molti fondi hanno acquistato massicciamente questi titoli.
Quest’anno questi due titoli sono in discesa di circa il 30 per cento mentre i titoli petroliferi tradizionali stanno salendo mediamente di oltre il 50 per cento.
Alcuni analisti e gestori come Albert Götz, capo stratega del fondo d’investimenti tedesco Lupus vede grandi esagerazioni nel mercato perché si pone troppa enfasi sull’ecologia: «Ci sono ricarichi grotteschi solo perché un’azienda è coinvolta nella tecnologia ambientale, ad esempio. Molti investitori sono accecati dai rating Esg e investono in ogni prodotto con un’etichetta verde». Secondo l’esperto le aziende dovrebbero anche dimostrare di tenere conto di diversi fattori di sostenibilità e non solo della “e” di environmental.
Ha fatto scalpore, per esempio, lo scorporo di un altro gigante mondiale minerario come Anglo American che ha scorporato le proprie attività nel carbone pressato da alcuni investitori attivisti.
Cosa è accaduto con lo scorporo? Enormi quantità di titoli della società Thungela (il nome della società carbonifera scorporata) sono state scaricate dai vecchi azionisti Anglo American indipendentemente dal prezzo.
I gestori dei fondi non volevano avere azioni di una società carbonifera (fra le più inquinanti fonti di energia) e molti piccoli risparmiatori hanno seguito la stessa strada. Una vera svendita.
Il titolo Thungela si è attestato così poco sopra una sterlina il primo giorno di negoziazione. Nei mesi successivi il titolo è quadruplicato di valore! E il nuovo management di Thungela non ha certo intenzione di ridurre la produzione di carbone. Tutt’altro.
Si voleva creare valore ma invece molti investitori lo hanno distrutto (e nemmeno il problema ambientale è stato risolto ma è solo stato trasferito) per seguire la folla e questo titolo, a un certo punto durante la svendita, era arrivato a capitalizzare meno di due volte gli utili prodotti in un anno.
Negli ultimi mesi qualcosa è cambiato e diversi gestori e analisti (e anche politici) iniziano a pensare che petrolio, gas e carbone non saranno sostituiti così rapidamente dalle cosiddette fonti di energia rinnovabili. Insomma, la diversificazione delle fonti di energia resta strategica come quella degli investimenti e non è tutto verde quello che luccica.
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