- Il fallimento di Alitalia non è che l’ultimo di una serie infinita di fallimenti succeduti alla liberalizzazione dei trasporti, che nell’Unione europea è iniziata nel 1993.
- La liberalizzazione ha democratizzato i voli aprendoli al turismo di massa ma ha anche reso i vettori l’anello debole di una catena di valore ricca di monopoli o quasi.
- Le altre grandi compagnie hanno capito cosa stava succedendo, Alitalia e soprattutto i decisori politici no. Nel prossimo futuro il tasso di crescita diminuirà e poi c’è la sfida ambientale da affrontare.
Il fallimento di Alitalia non è che l’ultimo di una serie infinita di fallimenti e chiusure di compagnie aeree avvenuta negli ultimi 25 anni. Le ragioni sono nella storia di questo settore.
Fino alla fine degli anni Ottanta, nel trasporto aereo è stato in vigore il regime protezionistico nei confronti delle compagnie di bandiera, sulla base della Convenzione di Chicago del 1944. Allora il volo era riservato a pochi privilegiati. In Europa, dal 1993 il trasporto aereo è diventato democratico grazie alla liberalizzazione decisa dalla Unione europea che ha stabilito che un vettore aereo con sede in un paese Ue può coprire rotte all’interno di un qualsiasi paese dell’Unione e operare collegamenti tra i paesi Ue.
Gli effetti della liberalizzazione
Il primo effetto è stato quello di passare da una concorrenza tra compagnie aeree all’interno di un paese, a una concorrenza europea. Il secondo è stato favorire la nascita delle compagnie low-cost.
La forte concorrenza ha inciso sulla catena del valore del trasporto aereo dove i vettori sono diventati l’anello debole. Gli altri attori sono: gli aeroporti che godono del monopolio del bacino di traffico; la grande distribuzione che è un quasi-monopolio; il controllo del traffico aereo che, salvo rare eccezioni, è un monopolio statale che può fissare tariffe assai remunerative e i costruttori aeronautici che si contano sulle dita di una mano.
Le compagnie aeree, invece, sono quelle che subiscono il massimo della concorrenza, visto che gli aerei sono transnazionali per definizione.
Le low-cost sono nate sulla base di nuovi principi gestionali vincenti: aerei nuovi e un solo tipo di aereo per ridurre i fermi macchina per manutenzione e per ridurre al minimo il magazzino ricambi, contratti di lavoro a basso costo e limiti di impiego del personale di volo al massimo consentito dalle norme aeronautiche, servizi di bordo e a terra solo a pagamento. Per questo hanno potuto offrire voli a prezzi molto democratici.
Le vecchie compagnie di bandiera non hanno saputo liberarsi subito delle vecchie incrostazioni date dall’esubero di personale, da contratti di lavoro eccessivamente onerosi, da flotte disomogenee e obsolete, perdendo così in breve tempo rilevanti quote di mercato.
Gli accordi bilaterali
Dopo la liberalizzazione del mercato aereo, le compagnie di bandiera godevano ancora dell’esclusività sui voli verso paesi extra Ue, basata su accordi bilaterali di traffico (Air Service Agreements). Tali accordi prevedevano, ad esempio, che i collegamenti tra Italia e Thailandia potessero essere operati solo da Alitalia e Thai Airways. Su queste rotte le low-cost non potevano e non possono oggi operare, quindi senza concorrenza si possono fissare tariffe remunerative.
Solo con gli Stati Uniti l’Ue ha firmato nel 2008 un accordo di open skies, grazie al quale qualsiasi vettore con sede nell’Ue può volare verso gli Stati Uniti e viceversa. In questo mercato potrebbero entrare anche le low-cost.
Le grandi compagnie
Dopo il 1993 solo Air France-Klm, Lufthansa e British Airways compresero gli effetti della liberalizzazione e iniziarono un’azione di consolidamento con altre compagnie per creare una massa critica che le rendesse competitive nel mercato mondiale.
Chi ha guidato Alitalia non ha mai capito quello che stava avvenendo nel trasporto aereo europeo e mondiale, ma soprattutto non l’hanno capito i politici che avevano la responsabilità del settore. Così è iniziato il lento declino della nostra compagnia di bandiera ora arrivata al capolinea.
Comunque, il volano del settore ha sviluppato nuove produzioni e nuovi servizi, ma soprattutto ha dato un enorme impulso all’industria del turismo mondiale che negli ultimi 20 anni è cresciuto del 115 per cento. Quindi per l’economia in generale il processo si può giudicare positivo.
Il futuro
Ora nuove sfide aspettano il trasporto aereo, soprattutto i vettori. Per cominciare l’uscita dalla crisi pandemica non sarà facile e ci si deve aspettare che nei prossimi anni il trasporto aereo non potrà crescere al tasso del cinque per cento annuo come negli ultimi 20 anni. Poi si dovrà affrontare il problema delle emissioni di monossido di carbonio, ossido di azoto e anidride carbonica, che influenzano negativamente i cambiamenti climatici.
Occorre dunque trovare soluzioni tecnologiche nella costruzione di nuovi aerei meno inquinanti, ma i vettori aerei dovranno sostenere gli ingenti costi del cambio di flotta.
La crisi pandemica ha reso palese come siano diventati necessarie pianificazione, organizzazione, innovazione, ma anche sostenibilità e cooperazione per affrontare il futuro. Anche il trasporto aereo dovrà seguire questa strada.
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