- La Commissione europea intende ridurre la dipendenza dal gas russo e dai produttori asiatici. A Monaco di Baviera si è appena chiusa la fiera Intersolar con grandi aspettative tra gli operatori.
- Come nelle batterie, prevista l’apertura di una serie di gigafactory in tutto il continente. Enel Green Power ha il progetto più ambizioso con un impianto da tre gigawatt da realizzare in due anni in Sicilia.
- Ma in Cina le fabbriche sono gigantesche, anche da 15 gigawatt ciascuna. E recuperare il gap richiederà molto tempo: la quota detenuta dai prodotti europei nei mercati mondiali è rimasta intorno al 2-3 per cento. «Una filiera non si crea in un paio di anni».
Il clima era elettrizzato. Un po’ perché si respirava finalmente un’aria di libertà post-covid. Un po’ perché il mercato europeo dell’energia solare è in pieno boom: nel 2021 sono stati collegati alla rete dell’Unione impianti fotovoltaici per quasi 26 gigawatt, con una crescita record del 34 per cento.
E poi, sullo sfondo, c’è Bruxelles che vuole rilanciare alla grande l’industria del vecchio continente e aumentare la diffusione dei pannelli sui tetti. Così dall’11 al 13 maggio la fiera Intersolar di Monaco di Baviera, la più importante manifestazione mondiale dedicata al solare, si è affollata di espositori ed è stata un successone.
«Ho visto molto entusiasmo da parte dei produttori europei presenti alla fiera, vogliono tornare protagonisti» conferma Alessandro Barin, amministratore delegato dell’azienda veneta Futura Sun. «Ma la strada da percorrere è lunga, una filiera dell’energia solare non si crea in un paio di anni, occorrerà più tempo. L’Europa è debole nella produzione di celle e moduli, il cuore dei pannelli fotovoltaici, e ha un solo grande player nel settore del polisilicio, la tedesca Wacker».
La Cina
In effetti tanti prodotti presentati a Monaco vengono realizzati in Cina. Un documento di studio preparato per la Commissione europea da un team di esperti, analizza una serie di settori strategici che vedono l’Europa dipendere da altre aree economiche. Uno di questi è l’energia fotovoltaica.
Ed è un’industria su cui Bruxelles punta molto per raggiungere il nuovo obiettivo del 45 per cento di energie rinnovabili nel consumo finale lordo entro il 2030, e per liberarsi dalla dipendenza del gas russo. Infatti, contrariamente al settore eolico dove le imprese europee «hanno una posizione forte con solide capacità di produzione, quote di produzione robuste e una bilancia commerciale positiva, l'industria fotovoltaica dell'Ue è più dipendente dalle catene di fornitura e di valore internazionali» sottolinea il documento. «Mentre l'Ue è in cima alla classifica in termini di diffusione delle installazioni solari fotovoltaiche , le aziende dell’Unione rappresentano solo una parte molto piccola della produzione globale».
Un trio di fornitori asiatici
La maggior parte delle importazioni in Europa proviene da meno di tre paesi: la Cina che da sola rappresenta il 63 per cento delle vendite nell’Ue, seguita dalla Malaysia con il 9 per cento e dalla Corea del Sud con il 6 per cento.
Mentre l’import di pannelli fotovoltaici in Europa è cresciuto costantemente, la quota detenuta dai prodotti europei nei mercati mondiali è rimasta intorno al 2-3 per cento. Secondo il documento, la mancanza di competitività delle aziende dell’Unione è dovuta alle differenze nel costo del lavoro, agli impianti di produzione di massa in Cina e all'accesso dei produttori cinesi a un sostegno statale molto favorevole e ad un’energia relativamente più economica.
Non è che le imprese europee siano in ritardo su tutti i segmenti del solare: sono più competitive nella parte a valle della catena del valore con ruoli chiave nel monitoraggio e nel controllo e nella produzione di inverter e inseguitori solari. Ma quasi non toccano palla in diverse aree importanti del segmento a monte della catena del valore, come la produzione del modulo che trasforma i raggi solari in elettricità: dei primi dieci costruttori al mondo, sette sono cinesi, uno coreano, uno canadese e uno statunitense.
Sulla scia di quanto sta tentando di fare nei semiconduttori e nelle batterie per auto, l’Europa intende tornare ad essere protagonista nel fotovoltaico costruendo tante gigafactory di pannelli solari. E in effetti l'aumento della domanda e l'abbassamento dei costi di produzione dovrebbero permettere alle aziende di riportare la produzione fotovoltaica in Europa a prezzi competitivi.
A Catania l’impianto più grande
Nel 2021 un consorzio di aziende europee ha creato la European Solar Initiative, che mira a portare la produzione solare annuale a 20 gigawatt entro il 2025. I progetti sono tanti. La svizzera Meyer Burger sta potenziando i suoi impianti di moduli in Sassonia, una regione che era la «valle del solare» in Germania, per portare la produzione oltre un gigawatt all’anno. In Francia la società Carbon ha dichiarato che prevede di costruire una fabbrica di pannelli solari da 5 gigawatt entro il 2025 e di triplicare la capacità di produzione a 15 gigawatt entro la fine di questo decennio. La tedesca NexWafe sta progettando la produzione di massa a basso costo di wafer di silicio, finora il componente più costoso di un modulo solare.
In Italia i progetti più importanti sono due. Il più ambizioso è firmato Enel Green Power e riguarda lo stabilimento 3Sun di Catania. «Oggi questo impianto, il più automatizzato al mondo, produce celle e moduli per un totale di 200 megawatt all’anno» spiega Eliano Russo, responsabile di 3Sun. «Il nostro obiettivo è aumentare di 15 volte nel giro di due anni la sua capacità produttiva per arrivare a 3 gigawatt. L’Italia avrebbe così il più grande stabilimento di pannelli solari fotovoltaici d’Europa». Un investimento da 600 milioni di euro, di cui circa 200 provenienti dall’Europa e dal nostro Pnrr.
Un’altra gigafactory verrà realizzata nei prossimi tre anni dalla Futura Sun. L’azienda è presente da tempo in Cina dove dal 2018 ha un proprio stabilimento di pannelli da un gigawatt di capacità produttiva: «Un’attività messa in piedi in appena 5 mesi» ricorda Barin.
Forte in Italia, dove controlla il 15 per cento di un mercato estremamente frammentato, Futura Sun vende i suoi prodotti made in China in tutta Europa. E ora ha deciso di costruire una grande fabbrica da più di un gigawatt in Veneto: «Pensiamo che sia utile offrire ai clienti un prodotto fatto in Europa» dice Barin che si aspetta un forte aumento della domanda.
Una lunga strada
Ma le dimensioni delle future gigafactory europee impallidiscono di fronte a quelle cinesi: oltre la Grande Muraglia le aziende leader come Longi Solar, Tongwei o Jinko Solar possono contare su gigafactory fino a 15 gigawatt di capacità produttiva. Sono colossi che arrivano complessivamente ad una produzione, con più impianti, di 50 gigawatt all’anno. Numeri incredibili. Come possono gli europei pensare di sfidare un Dragone così grande e potente? «Penso che ce la possiamo fare» risponde Russo di 3Sun «ma dobbiamo cambiare le regole del gioco.
I clienti vorranno sempre di più acquistare pannelli che siano tracciabili, con un’impronta carbonica pari a zero, con una catena del valore più trasparente. E poi noi puntiamo sulla tecnologia: i nostri moduli sono molto efficienti, trasformano il 24,5 per cento dell’energia solare in elettricità e l’ambizione è di arrivare al 30 per cento. Valori molto alti. A parità di energia prodotta siamo competitivi con i cinesi che hanno tecnologie più mature.
Sono fiducioso, vedo in Europa una grandissima volontà di conquistare l’indipendenza energetica». All’ottimismo di Russo si contrappone lo scetticismo di chi ritiene che le lentezze europee non consentiranno alle imprese del continente di tenere il passo con la capacità della Cina di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti dettati dalla tecnologia. Il rischio, almeno per un decennio, è di trovarsi a rincorrere l’Asia in un settore sempre più strategico.
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