Il presidente Joe Biden ha riacceso l’entusiasmo degli americani favorevoli alla liberalizzazione della marijuana. Ma ha deluso un’altra platea, quella degli investitori che speravano di rivivere un’altra stagione d’oro delle cannabis stock.

Il 6 ottobre Biden ha proclamato un’amnistia a favore dei condannati per il reato federale di possesso di marijuana: verranno estinte le pene e ripulite le fedine penali di circa 6.500 persone condannate per reati di «semplice detenzione» di cannabis. Inoltre ha chiesto a Merrick Garland, il procuratore generale degli Stati Uniti, di togliere la cannabis dalla categoria delle droghe più pesanti, come eroina e Lsd.

Pur essendo stata accolta con soddisfazione dalle associazioni che si battono per la liberalizzazione, la decisione del presidente ha avuto l’effetto sui titoli del settore quotati sui mercati azionari di una breve fiammata. Giovedì 6 le azioni di Tilray Brands hanno messo a segno un balzo del 22 per cento, quelle di Canopy Group del 31 per cento mentre L'Etf Alternative Harvest, che include azioni di diverse società di cannabis, è salito quasi del 20 per cento. Già nei giorni successivi, però, le quotazioni sono tornate sui poco eccitanti livelli precedenti. Sfumate le speranze di un altro rally, almeno per ora.

La parabola di Canopy e le altre

A livello mondiale sono 239 le società quotate del settore con una capitalizzazione complessiva di circa 47,5 miliardi di dollari. Le più famose sono in Canada e negli Stati Uniti, nate per rifornire il mercato nordamericano dopo che nel 2018 Ottawa legalizzò la cannabis a uso ricreativo, seguendo l’esempio di alcuni stati Usa. E proprio in quegli anni l’interesse degli speculatori verso le aziende del settore fece crescere una enorme bolla finanziaria, che finì inevitabilmente con l’esplosione e il crollo delle quotazioni. Canopy Growth Corporation, nata come Tweed Marijuana con sede a Smiths Falls, Ontario, nell'aprile 2019 era diventata la più grande azienda di cannabis al mondo. Dagli 8 dollari canadesi del 2018 il valore delle sue azioni era volato nel giro di pochi mesi fino a 67 dollari. Una salita ripidissima seguita da un’altrettanto inesorabile discesa fino ai 3,80 dollari di questi giorni.

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Stesso destino per Cronos Group, una società di cannabinoidi con sede a Toronto. Nata nel 2012 l'azienda si è concentrata sulla ricerca, la tecnologia e lo sviluppo di prodotti di cannabis. Ma dopo il boom iniziale, dai 29 dollari canadesi del 2019 il suo titolo è precipitato agli attuali 4 dollari. Aphria, con sede a Leamington, Ontario, è un produttore e distributore internazionale di cannabis medicinale e ricreativa. Nata nel 2014, ha visto le sue azioni salire da zero a 149 dollari Usa in pochi mesi per poi scivolare inesorabilmente ad appena 3 dollari. Nel dicembre 2020 si è fusa con la casa farmaceutica Tilray.

Il 20 settembre Aurora Cannabis di Edmonton, in Canada, ha presentato i risultati del quarto trimestre mostrando una perdita di 618 milioni di dollari canadesi, in peggioramento rispetto al rosso di 134 milioni di dollari nel trimestre precedente. Il suo titolo perde il 75 per cento dall’inizio dell’anno e dal 2019 è passato da 153 a 1,5 dollari canadesi.

In Europa è quotato The Medical Cannabis and Wellness, un Etf (fondo che replica l’andamento di un paniere di titoli) cresciuto fino allo scorso anno per poi imboccare una traiettoria discendente.

Una bolla già sgonfiata

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Alla fine dello scorso decennio, racconta Gabriel Debach, analista di eToro, società israeliana di social trading, «il mondo della cannabis esplodeva nelle sale operative come la nuova opportunità sui mercati. La sempre maggiore adozione dei principi della cannabis a scopo medico, le aperture di alcuni stati, soprattutto americani, alla legalizzazione per uso ricreativo nonché l’interesse del settore delle bevande per i drink alla Cbd (cannabidiolo, un componente della cannabis, ndr) aveva portato il settore a crescite esponenziali. Titoli del calibro di Cronos Group, Aphria, Canopy Growth, Tilray e Aurora Cannabis, solo per citarne alcuni, diventavano sempre più popolari nel mondo degli investitori e così, di pari passo, il loro valore in borsa».

A sgonfiare la bolla sono stati molti fattori, come i ritardi in Canada nelle approvazioni di prodotti a base di Cbd, un sistema fiscale statunitense eccessivamente penalizzante, le difficoltà da parte delle società del settore a finanziarsi, dato che negli Usa la cannabis è illegale a livello federale ponendo così una serie di restrizioni al sistema bancario. Di fatto le grandi aziende di settore non possono ancora utilizzare le reti creditizie o assicurative che dipendono da licenze federali. E per ora non è cambiato nulla.

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Così, nonostante il mercato della cannabis legale sia in crescita e nuovi paesi alleggeriscano i divieti (la Thailandia nel 2018 ne ha legalizzato l’utilizzo per uso medico e a giugno 2022 anche la coltivazione della marijuana e il suo consumo in cibi e bevande) il futuro dell'industria rimane incerto e presenta molti rischi. Attualmente negli Stati Uniti 38 stati consentono l’uso di cannabis e derivati a scopo terapeutico, in 19 è legale l’uso ricreativo di marijuana: gli occhi degli investitori sono ora puntati sulle elezioni di midterm in novembre, quando altri cinque stati voteranno i referendum per la legalizzazione.

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